Roma, 21 gennaio 2025 – Anche ibis sacri e aironi tra le specie che possono diffondere l’influenza aviaria. La scoperta arriva dal laboratorio di referenza europeo sul virus, che fa capo all’Istituto Zooprofilattico delle Venezie.
Abbiamo chiesto al direttore Calogero Terregino il significato di questa novità. Mentre in tutto il mondo crescono preoccupazione e attenzione. L’Iss ha diffuso le Faq con un focus specifico sul rischio per cani e gatti. Pochi giorni dopo, a Bologna è morto il primo felino e negli Usa la Food and Drug administration ha invitato i produttori di alimenti per animali a rivedere le procedure di sicurezza.
La storia per punti
Ibis sacri e aironi: gli ultimi ospiti dell’aviaria
“Nel corso degli anni – spiega il direttore Terregino – il virus che prima era di pertinenza di alcune specie indicate classicamente come serbatoi, più di tutto anatre e gabbiani, man mano che è aumentata la sorveglianza verso le specie più vicine agli allevamenti, si trova anche altrove. Andandolo a cercare, abbiamo avuto la possibilità di scoprire altri animali morti e positivi all’aviaria”. La scoperta è avvenuta per la combinazione di competenza e intuizione, “a partire da una collega di Verona che è anche un esperto ornitologo”, ricostruisce il direttore Terregino.
Non era semplice ‘catturare’ le informazioni, “anche perché non siamo di fronte a stragi di animali ma quelli morti sono qua e là”. Insomma, è servita una grande attenzione.
Ibis sacro, specie aliena invasiva
Dunque oggi grazie a questi studi possiamo aggiornare le notizie sull’ibis sacro. “Non più solo specie aliena invasiva, ad esempio nella Pianura padana – spiega lo scienziato – ma anche animale che può diventare portatore del virus. Il problema è che si tratta di specie molto frequenti nelle aree antropizzate dove ci sono tanti allevamenti avicoli e possono quindi portare il virus dalle aree umide alle aziende”. Ma il problema esisteva già e lo abbiamo scoperto oggi, con la sorveglianza? “Tenderei ad escludere questa ipotesi – ragiona il direttore – perché l’invasione dell’ibis è recente. E per questo animale in particolare non è facile fare una sorveglianza attiva. Mentre per le anatre, ad esempio, le aree di cattura sono consolidate”.
Lo studio ha portato a scoprire “anche aironi guardiabuoi infetti. Parliamo di una specie protetta che oggi però è diventata comune. Si trovano a migliaia vicino agli allevamenti e non sono mai state investigate prima”.
Da cosa è provocata l’invasione?
Ma quali sono stati i fattori scatenanti dell’invasione degli ibis? “Naturalmente questo non è il mio specifico campo di studio – premette Terregino – ma lo schema è sempre lo stesso, cibo e condizioni ambientali favorevoli. Purtroppo i residui di mangime e pollina sono fonti di attrazione”.
Aviaria dagli ibis ai polli? Le parole dello scienziato
Ma ci sono certezze sul passaggio dell’influenza aviaria dagli ibis ai polli? “Diciamo così – risponde il direttore del centro – . Abbiamo trovato un’evidenza che si aggiunge a una serie di fattori. Ma ancora oggi i principali serbatoi restano anatre e gabbiani”. Come regola di base, “quando l’ambiente è contaminato, il rischio aumenta. Ma il ruolo dell’ibis resta tutto da identificare. Siamo all’inizio di un approfondimento”.
"Occorre consapevolezza”
Sull’aviaria sembra oscillare tra allarmismo e superficialità. “In un periodo in cui c’è tanto virus nell’ambiente e alcuni allevamenti vengono colpiti, ci possono essere le condizioni in cui un evento eccezionale può diventare più frequente, non mi pare ci sia consapevolezza di questo – annota Terregino -. Dall’uccello selvatico al gatto il virus si modifica. E se colpisce un altro felino può mutare ancora. A questo occorre prestare attenzione”.