La proposta dell’Alto Adige di abolire i voti scolastici dal 4 in giù – "perché non hanno alcun valore educativo e pedagogico" – polarizza il dibattito tra favorevoli e contrari. Eraldo Affinati, 66 anni, romano, due volte finalista al Premio Strega, mobilita la sua memoria di insegnante e commenta: "Già fatto".
Mai scritto meno di 4 sul registro?
"Mai, perché è inutile mortificare uno studente in difficoltà. Non serve a lui né alla classe".
In che senso?
"Una classe è un ecosistema in cui nessuno studente va isolato. Né se problematico né se molto bravo. Perché anche gli allievi più capaci possono finire ai margini. E non deve accadere".
La proposta altoatesina riaccende il confronto tra cultori del voto o del giudizio, ma anche l’annosa querelle tra meritocrazia o inclusività. A che punto siamo?
"Al nodo già sciolto da Don Milani. A cento anni dalla sua nascita, tutto ruota ancora attorno al punto che non si può eludere".
Quale?
"Non è importante “cosa fare o non fare“ a scuola. Fondamentale è “come essere“, a scuola".
Già, come?
"L’insegnante deve promuovere un atteggiamento di autenticità nel rapporto con lo studente, deve instaurare un rapporto di fiducia. Perché se manca la fiducia, possiamo escogitare qualsiasi strumento per stare in cattedra ma sarà improduttivo"
La sua esperienza?
"Con gli allievi bisogna porsi in modo trasparente. Bisogna giocare a carte scoperte".
Ad esempio?
"No ai tranelli o ai trabocchetti nelle interrogazioni. Chiarezza nel metodo di valutazione".
Gli studenti delle superiori vogliono essere valutati o ne farebbero volentieri a meno?
"Salvo eccezioni, tutti i ragazzi vogliono essere riconosciuti nei loro sforzi. Lo dico con rammarico e amarezza: la non accettazione del giudizio nasce soprattutto quando le famiglie si mettono contro. Un problema serio. Perché i docenti hanno bisogno che i genitori sostengano il processo educativo".
Anche quando non funziona?
"Il bravo docente è quello che fa scattare nei ragazzi la motivazione. È un processo di responsabilizzazione non sempre lineare ma che alla fine crea maturazione e risultati".
Apra il suo archivio.
"Da giovane ho insegnato italiano alle Professionali. Ricordo un allievo che, con timidezza, un giorno mi portò per tema un rap in rima sui quartieri della periferia romana: “Casilina, Tiburtina, Prenestina...“. “Bravo“, gli dissi. E da quel giorno tutto fu diverso. Dinamiche che rivedo".
In quale contesto?
"Ho fondato la Scuola Penny Wirton per l’italiano gratuito ai migranti, 54 sedi aperte anche grazie ai liceali che accettano di insegnare in alternanza scuola-lavoro. Sa chi sono, molto spesso, gli studenti-docenti più capaci? Proprio quelli che a scuola risultano meno performanti. Mettersi in gioco attiva convinzione e fiducia".
Meglio i voti, i giudizi o le fasce di valutazione?
"In epoca digitale, con l’intelligenza artificiale già tra noi, i giovani sono destinati a una vita di formazione permanente. Ai ragazzi va trasmesso il valore che la scuola non è il posto in cui si studia perché si deve, ma quello dove ci si allena a gestire la sfida ignota col domani. E rispetto alla nuova posta in palio, ogni vecchio criterio sfuma".