di Massimo Cutò
"Sono sempre stata ingombrante. Una donna, anzi una donnetta, come mi hanno chiamata, nel mondo della musica infestato dai maschi. Ma mi sono fatta rispettare: ho parlato chiaro, senza mai sbagliare il tempo". Nora Orlandi è una voce fuori dal coro. Definizione paradossale per una che è stata la regina dei vocalist, la colonna del Festival di Sanremo. Chi non sa che cosa hanno rappresentato i suoi Quattro più Quattro alzi la mano. E faccia penitenza, perché lei, a 87 anni, continua a dare battaglia. Se ne sono accorti ad Amici: è stata l’inflessibile insegnante tv degli allievi di Maria De Filippi. Oltreché al conservatorio, dove da ragazza comandava a bacchetta studenti della sua stessa età.
Un talento precoce, signora Orlandi?
"Io e la musica abbiamo viaggiato insieme. Mia madre era la cantante lirica Fanny Campos: mi ha spinto a suonare il violino e il piano da bambina. Quando la famiglia si è trasferita da Voghera a Genova, è stato naturale iscrivermi al conservatorio Paganini. Volevo diventare direttore d’orchestra e ottenni cinque diplomi con il massimo dei voti". A 18 anni è entrata nell’orchestra Rai a Roma. Era il 1951: come andò il provino?
"Genova mi stava stretta, volevo andare oltre. Mi presentai al concorso: l’esaminatore era Pippo Barzizza, un monumento del jazz e dello swing, lui e Cinico Angelini dominavano la scena. Fui presa come violinista".
Quando cominciò a pensare di mettersi in proprio?
"Suonavo con le orchestre di Lelio Luttazzi e Bruno Canfora. E intanto mi esibivo da solista, al piano, cantando brani miei. Finché nel ‘52 misi in piedi il primo gruppo vocale: il Quartetto 2+2. Fu la svolta".
Che cosa facevate?
"Spettacoli dal vivo, radiofonici e televisivi. Incidevamo con i cantanti alla moda. E contemporaneamente registravo dischi per conto mio".
Il coro andava forte?
"Diciamo di sì. A un certo punto entrò mia sorella Paola, ma c’erano due problemi. Il primo era che la formazione cambiava spesso. Per esempio Alessandro Alessandroni, uno dei migliori, se ne andò per fondare i Cantori moderni. E il nostro apporto al successo altrui non era valorizzato: eravamo inesistenti sulle copertine e le etichette dei dischi. Perfetti sconosciuti per il pubblico".
Così il sodalizio si sgretolò?
"Quando le liti prevalgono è meglio finirla. Fu un momento difficile, mio marito suggerì: se loro lasciano, tu raddoppia. Così feci".
Fu la sua fortuna?
"Era il 1964: nacquero i Quattro più Quattro di Nora Orlandi. Siamo durati vent’anni".
Chi c’era dentro?
"Allargai la formazione con nuovi innesti. Tra loro Donato Renzetti, grandissimo direttore d’orchestra tuttora. E poi Marco Ferradini e Santino Rocchetti".
Siete stati la storia della musica leggera italiana.
"Il coro era una presenza fissa a Sanremo, Un disco per l’estate, Canzonissima, il Festival di Napoli. Fino a Fantastico. Facevamo Gran varietà alla radio. E i caroselli con attori popolarissimi".
Com’era cantare all’Ariston?
"La soddisfazione massima me la diede Ray Conniff, il direttore d’orchestra americano. Nel ‘71 volle che affiancassimo i suoi coristi sul palco. Una consacrazione internazionale".
Sempre tutto liscio?
"Macchè. Un anno a Sanremo feci una litigata memorabile con Mike. Nelle presentazioni citava tutti fuorché il mio coro. Due ore prima che la serata cominciasse gli dissi in faccia: vediamo che cosa inventi stavolta per dimenticarti di noi. Minacciammo di comparire a teatro in pantofole. Mike era bravissimo e intelligente, tutto finì bene".
Lei litigava sempre?
"Non avevo paura di nessuno perché conosco il mio valore. Una volta sfidai persino Mina".
Racconti.
"Il maestro Canfora mi fa: adesso ti faccio sentire come si canta. Entra Mina ed esegue un brano da par suo. Ero inferocita con Canfora che voleva umiliarmi. Allora mi siedo al piano e canto lo stesso brano a velocità doppia. E’ stata una soddisfazione immensa vedere Mina applaudire".
Le piaceva Mina?
"Impossibile dire di no. Tecnicamente perfetta, però aveva un difetto: le mancava la creatività".
Come giudica gli altri cantanti di allora? Modugno, Morandi, Dalla?
"Erano eccezioni. Per il resto tutti uguali, convinti di essere più bravi di quel che erano".
Almeno con qualcuno sarà andata d’accordo?
"Ho amato Armando Trovajoli, compositore straordinario. Stava ai Parioli, eravamo vicini di casa. Mi telefonò per Rugantino: Nora, ho un dubbio sulla partitura. Gli risposi: guai a te se la tocchi. Non la toccò".
Lei è stata a fianco di Morricone. Com’era?
"Ennio era un genio, ma uno scassapalle. Lavoravi con lui tutto il giorno, poi all’ora dei saluti diceva: non sono convinto. Un caffè e si ricominciava. Lo chiamavo il signor Ci Ho Ripensato".
Avete inciso insieme una colonna sonora indimenticabile.
"Sì, è mia la voce di Metti una sera a cena".
Anche lei ha composto colonne sonore?
"Soprattutto per film western. Johnny Yuma ebbe il premio della critica nel ‘66. Il mio preferito è Clint il solitario: il regista cercava un bambino e feci cantare mio figlio che oggi ha 64 anni".