Lunedì 23 Dicembre 2024
ALESSANDRO BELARDETTI
Cronaca

"I medici di base non filtrano i casi lievi". Il capo dei 118: pronto soccorso allo stremo

Balzanelli boccia il lockdown: meglio stare all’aria aperta. "I virologi scelgano una linea comune, sennò la gente ci chiama nel panico"

Presidente Balzanelli, in questi giorni si è sentito di ospedali al collasso, di ambulanze in coda per ore, di pazienti in attesa per giorni. Qual è la situazione nei pronto soccorso?

"La situazione è quella che era prevedibile, con l’approssimarsi dell’inverno – risponde Mario Balzanelli, presidente Società italiana Sistema 118, responsabile di una Covid station con 20 posti letto a Taranto –. Il sistema emergenziale nazionale va incontro al rischio di fallimento se non si aumentano i mezzi e gli equipaggi del 118, e se non si creano aree dedicate per la presa in carico di elevati volumi di pazienti acuti e sintomatici. È un errore metodologico importante prendere decisioni ragionando solo sugli asintomatici e sui contagi: il vero dato da monitorare è il riempimento delle terapie intensive, che raddoppia di settimane in settimane".

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Il capo dei reparti Covid nei pronto soccorso lombardi, Guido Bertolini, grida che serve il lockdown nazionale, perché la situazione nei pronto soccorso italiani è drammatica. Lei cosa pensa?

"Credo che occorra rinforzare le misure di protezioni individuali chiudendo le tre vie d’ingresso del virus: occhi, naso e bocca. Bisogna usare la visiera assieme alla mascherina se non si riesce a mantenere la distanza interpersonale. Io dico: liberi tutti, altroché lockdown. Stiamo distanti il più possibile, andiamo negli spazi aperti, sparpagliamoci al mare, in montagna. Il 95% dei positivi è asintomatico e se ci chiudiamo nei condomini d’inverno, considerando l’altissimo livello di contagiosità del virus, rischiamo di ‘friggere’ intere città nei palazzi. Con un lockdown contageremmo i parenti, i vicini, gli anziani. Non si possono tenere 60 milioni di italiani al guinzaglio".

Perché le ambulanze, soprattutto nel Lazio e in Lombardia, devono restare in coda all’entrata dei Pronto soccorso e non scaricano immediatamente i pazienti nei reparti adibiti?

"La mancanza di programmazione ospedaliera spinge il personale a ritardare anche di giorni la presa in carico degli ammalati. Questa cattiva gestione politica dell’emergenza sanitaria ha determinato la paralisi delle tempistiche all’arrivo dei pazienti acuti, con un quadro di blocco permanente degli accessi e un innaturale e pericoloso allungamento dei tempi di ospedalizzazione. La conseguenze? Diverse persone sono morte durante l’attesa al Pronto soccorso".

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Gli italiani sono un popolo ipocondriaco. In che percentuale i cittadini hanno responsabilità nell’intasare inutilmente il centralino e ritardare così gli interventi del 118?

"Le centrali operative sono subissate da richieste da parte di persone ansiose e spaventate. Tutto ciò va compreso e occorre dare risposta organizzata. Innanzi tutto la linea ufficiale della comunicazione epidemiologica alla popolazione deve essere unitaria e basata sempre su evidenze scientifiche. I messaggi degli esperti in perenne contraddizione sono l’antitesi dell’educazione sanitaria in un momento così critico".

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L’intasamento nel lavoro del 118 è anche dovuto alla mancanza di filtro da parte dei medici di famiglia?

"Qualunque filtro si è dimostrato insufficiente e meritevole di rilevantissimo supporto. Il 118 sono 25 anni che è subissato da telefonate di casi che non sono emergenze: siamo abituati a gestire una mole eccessiva di lavoro. La popolazione spesso dovrebbe chiamare i medici di famiglia, ma ritiene noi gli interlocutori privilegiati".

Nel vostro settore, cosa non è stato fatto dal governo in questi sei mesi?

"Avevamo chiesto un rinforzo dei mezzi mobili di soccorso e delle centrali operative: almeno il 20% di infermieri in più da assumere. Bisognava dare il saturimetro a ogni positivo in isolamento domiciliare: la riduzione d’ossigeno avviene 3-4 giorni prima che sia necessaria l’ospedalizzazione, così i casi gravi non arrivano in corsia con i polmoni distrutti. Occorreva dotare il personale ospedaliero dei dispositivi idonei di protezione. Servivano spazi adeguati per accogliere i pazienti, ospedali da campo come a Wuhan, Covid house per i ricoveri domiciliari e non ammassare i malati con le famiglie. Infine, mancano i ventilatori".