"Rallenta la crescita in Italia", avvisano gli economisti di Confindustria. E per quanto rallenti di pochi decimi (allo 0,8% per il 2024 e allo 0,9%) siamo comunque di fronte a segnali che indicano una frenata del Pil, come emerge, del resto, anche dalle previsioni del Fondo monetario internazionale, che stima percentuali più basse, a quota 0,7% e 0,8%. Una frenata – spiegano da viale dell’Astronomia – dovuta a una serie di nodi che vengono al pettine e che mettono a rischio la competitività del Paese nel breve e nel medio periodo.
Quali, è presto detto: dal crollo dell’auto alla fine del Superbonus, con annesso calo degli investimenti, dalla caduta demografica (per la quale occorrerebbe favorire l’ingresso nel mercato del lavoro di 120 mila lavoratori stranieri l’anno di fronte a un disallineamento di circa 1,3 milioni di addetti in 5 anni) ai costi elevatissimi dell’energia (innanzitutto nel confronto con tutti i nostri partner europei).
L’ITALIA TIENE BOTTA
Ma non ci sono solo ombre previsionali nel Report di Viale dell’Astronomia. Anzi. "Il ruolo di Confindustria non sarà timido – avvisa Lucia Aleotti, la vicepresidente con delega al Centro studi –. Emerge con grande evidenza una perdita di competitività dell’Ue rispetto a Cina e Stati Uniti. In questa difficoltà possiamo sicuramente affermare che l’Italia sta tenendo botta. Il Pil non galoppa ma cresce". Allo stesso modo, è altrettanto vero che "l’export di beni sicuramente soffre la crisi tedesca – spiega la vicepresidente –, ma comunque cresce a livello globale l’esportazione del nostro Paese, superando il Giappone. E anche l’export di beni, tuttavia, aumenta fuori dell’Europa, soprattutto verso gli Stati Uniti, aumentando le proprie quote di mercato, facendo meglio di Francia e Germania". Dunque, incalza, tutto questo è praticamente "un miracolo in un contesto in cui i tassi non sono scesi come ci attendevamo a inizio dell’anno e la nostra inflazione è ormai allo 0,7%. I costi dell’energia rimangono stabilmente alti e superiori a quelli europei, la Germania rallenta, il settore dell’automotive è in crisi drammatica ele aziende sentono mordere la difficoltà di trovare lavoratori qualificati e formati".
LA FRENATA NEI NUMERI
"Rallenta la crescita in Italia", spiega il responsabile del Centro studi, Alessandro Fontana, e pesa l’effetto che le revisioni Istat sul Pil 2023 hanno sull’eredità statistica per il 2024. La crescita "viene dai servizi" mentre sono "in calo tutti gli altri settori". E in prospettiva appare preoccupante la dinamica degli investimenti che, dopo una "robusta crescita" dal 2021 al 2023, "si fermano quest’anno (+0,5%) e scenderanno l’anno prossimo (-1,3%). Risale, invece, il reddito disponibile per le famiglie ma i consumi appaiono frenati dalla ricostituzione del risparmio speso negli anni scorsi. L’export, però, delude le attese: la stima per il 2024 scende al +0,6%; quella per il 2025 si ferma al +2%. Le importazioni 2024 sono ora previste in brusco -2,9%. "La persistente debolezza della manifattura – insistono a loro volta dal Fmi - pesa sulla crescita di paesi come Germania e Italia. Mentre si prevede, tuttavia, che la domanda interna dell’Italia beneficerà del Pnrr, la Germania è alle prese con il consolidamento di bilancio e un calo dei prezzi immobiliari".
I 5 NODI STRUTTURALI
Gli analisti del Centro studi approfondiscono i cinque "nodi", in particolare, che frenano la competitività e in prospettiva rappresentano un rischio per la crescita del Paese: "Il declino demografico, i "costi di alloggio troppo elevati rispetto a produttività e quindi salari, nelle diverse aree territoriali" che "frenano la mobilità dei lavoratori","i prezzi del gas e dell’elettricità che sono ancora più alti in Italia", i costi eccessivi di certi meccanismi della transizione Green. E ultimo, ma non ultimo, "il crollo del settore auto". Una crisi che per la vice-presidente Aleotti è generata "dalle politiche del Green Deal in gran parte, ma più in generale è generata da una politica che "Ha dimenticato il fondamento dell’economia – ha concluso la vicepresidente: il mercato, ovvero che oltre all’offerta ci deve essere una domanda e che la domanda si genera quando il bene soddisfa sia le necessità che il portafoglio dell’acquirente. Ciò che il Centro Studi ha dimostrato è che il costo di un’automobile elettrica non si parifica con quello di un altro tipo di automobile nemmeno in 10 anni di utilizzo, quando il costo iniziale (che è ben più altro del 15%) si dovrebbe stemperare con minori costi di utilizzo. Fermo restando tutte le limitazioni di maneggevolezza che si fanno sentire soprattutto per quelle famiglie che possono permettersi solo un’automobile e per giunta di limitata autonomia"