Lorenzo
Castellani
Il Movimento 5 Stelle è stato un incubatore di antipolitica. Dalla nascita fino alle elezioni del 2018 la creatura politica fondata da Grillo e Casaleggio si contraddistingueva per la sua trasversalità nella protesta politica e per il suo afflato anti-establishment. L’antipolitica dei pentastellati tagliava tutti gli schieramenti politici, si poneva oltre destra e sinistra, pur se il Movimento era nato nel solco dell’antiberlusconismo e del giustizialismo. Tuttavia, appena arrivati al governo i Cinque Stelle hanno iniziato a mutare rapidamente. Dapprima hanno trovato nell’allora poco conosciuto Giuseppe Conte una connessione con l’establishment e avviato un processo di moderazione dove estremismi geopolitici e democrazia diretta sono scomparsi. In primis vi è stata conversione all’europeismo, contribuendo a sorpresa ad eleggere Ursula von der Leyen come Presidente delle Commissione Europea, poi stabilendo un legame, con la nascita del secondo governo Conte, con la sinistra del Pd.
Da quel momento la carica anti-politica e di protesta del Movimento è definitivamente scemata. Conte ha trovato un pertugio nelle debolezze della sinistra, aiutato dagli errori tattici di Enrico Letta e da una intellighenzia progressista pronta a legittimarlo, trasformando il movimento in un partito di sinistra con una piattaforma assistenzialista, ambientalista e pacifista. Anche i naufraghi di quell’esperienza, Di Maio prima e Giarrusso oggi, non hanno potuto far altro che accasarsi col Pd rinnegando gran parte della propria storia di tribuni del popolo. In queste settimane Conte punta ad accreditarsi in Europa con il gruppo dei Verdi in coerenza con il progetto di incasellarsi a sinistra. Dopo oltre 10 anni il populismo pentastellato non è riuscito a costruire alcuna identità politica propria ed è stato riassorbito dal recinto della sinistra tradizionale. Efficace sul piano elettorale, ma incapace di generare modernizzazione.