Milano, 6 dicembre 2024 – “Qui nascerà un museo per l’arte contemporanea”. L’anno in cui la promessa si trasforma in maledizione è uno dei più terribili nella storia di Milano, il 1972 di Luigi Calabresi e Giangiacomo Feltrinelli. Lo Stato ha comprato dalla famiglia Citterio una dimora settecentesca nel quartiere di Brera, un miliardo e 148 milioni di lire sul conto del Demanio. C’è molto lavoro da fare, ma l’idea è affascinante: collegare la Pinacoteca teresiana-napoleonica a Palazzo Citterio per riunire nello stesso percorso Raffaello, Mantegna e Caravaggio con Modigliani, Boccioni, Morandi. Il nome dell’operazione è, da subito, Grande Brera. Quel progetto – avviato, abbandonato, riscoperto, finanziato, tagliato e infine riesumato – ecco, oggi quel progetto viene presentato alla città. La Grande Brera con Palazzo Citterio apre dopo 52 anni di travaglio. “È stato un percorso faticoso. I ritardi? Colpa dei continui cambiamenti politici”, dice l’architetto Alberto Artioli, tra i sovrintendenti che più hanno creduto nel museo.
L’inaugurazione
Il taglio del nastro è affidato ad Angelo Crespi, il direttore indicato dal governo Meloni per sostituire l’anglo-canadese James Bradburne al vertice di Brera. Il polo storico e il nuovo museo sono collegati da giardino e Orto Botanico (Bradburne, per dire delle leggendarie trasformazioni rimaste sulla carta, aveva immaginato un ponte trasparante sospeso tra gli alberi). Le sale sono state allestite dall’architetto Mario Cucinella. C’è “Fiumana” di Pellizza da Volpedo, c’è Picasso, c’è De Pisis, sono esposti i deliziosi ritratti di Zavattini e le “Fantasie” di Mario Mafai. Crespi ha riunito anche un circolo di mecenati i n un consiglio consultivo che sarà chiamato tre volte l’anno per discutere con artisti, curatori ed esperti il futuro di collezione e mostre.
La genesi
Il passato invece è un thriller. La primogenitura dell’idea è di due funzionari pubblici, i sovrintendenti Gian Alberto Dell’Acqua e Franco Russoli. Lavorano al restyling, lungo la linea del tempo, gli architetti James Stirling e Mario Bellini. Entrano scandali e commissariamenti. A metà del guado, per svegliare chi conta dal torpore, il presidente degli Amici di Brera, Aldo Bassetti, tuona: “Palazzo Citterio è un simbolo di inettitudine e incapacità decisionale”. Carlo Bertelli, storico dell’arte che ha sempre seguito da vicinissimo le vicende, oggi tenace 94enne, commenta ironico: “Sono contento di essere arrivato in tempo per vedere la nascita del museo. È stata un’attesa eterna, infinita. Sono stati fatti degli errori, ci sono dei difetti, ma l’importante è aprire le porte”. Artioli riconosce “l’impulso fondamentale dato da Crespi per la riuscita finale dell’impresa” ma chiede di non dimenticare “tutte le persone della Sovrintendenza che, in silenzio, nei decenni, hanno lavorato per conservare integro l’edificio”. A un certo punto il palazzo era stato perfino occupato da un centro sociale. Si chiamava Macao. Gli anni Settanta per sempre.