Prato, 27 aprile 2023 – Dieci anni fa. Il 28 aprile 2013 alle 11.40 Giuseppe Giangrande, maresciallo dei carabinieri di scorta durante l’insediamento del governo Letta fu colpito da un proiettile sparato da Luigi Preiti, poi condannato in Cassazione a 16 anni di reclusione per tentato omicidio. Il coma, la lunga riabilitazione e l’infausta sentenza: il proiettile aveva colpito la colonna vertebrale lesionando il midollo. Dal quel giorno, non ancora cinquantenne, Giangrande è tetraplegico, completamente dipendente da altri.
Maresciallo Giangrande, domani ricorre una data simbolica. Quel giorno di dieci anni fa la sua vita è cambiata per sempre…
"È cambiato tutto. Quanto successo mi ha privato di tante cose, mi ha trasformato. Quello che potevo fare un tempo, adesso non più. Se prima andavo a correre in bicicletta quando e come volevo, ora mi devo appoggiare completamente ad altre persone anche solo per uscire di casa".
Sono stati anni difficili, oggi come si sente fisicamente?
"Sto bene, bisogna avere il coraggio di accettare che la vita purtroppo può cambiare di punto in bianco".
Non banale da accettare.
"Come me anche tante altre persone si trovano a dover affrontare un’altra vita. Come si sopporta tutto questo? Con lo spirito del coraggio che ognuno di noi ha dentro di sé. Si riesce ad andare avanti sapendo che ci sono persone che ci amano".
Si riferisce a sua figlia Martina, che le è sempre stata vicino?
"Vale la pena sempre andare andare avanti. Nel mio caso mia figlia Martina mi dà la forza: è lei l’ultima persona che vedo la sera e la prima ogni mattina".
La prima persona che vide anche quando si svegliò dal coma?
"Esattamente. Mia figlia è sempre stata con me ed è sempre nei miei pensieri".
Come si svolge la sua quotidianità?
"Prima dell’attentato le giornate iniziavano indossando la divisa ed entrando di pattuglia, oggi è tutto rivoluzionato. La mattina mi alzo dal letto e mi siedo sulla carrozzina, poi arrivano delle persone che mi aiutano, sono i miei angeli custodi della Croce Rossa che mi sono stati sempre accanto in questi dieci anni. Dopodiché mi metto al computer oppure esco con mia figlia".
Dieci anni: si aspetta un riconoscimento dallo Stato?
"La mia seconda famiglia è l’Arma dei carabinieri, dalla politica non mi aspetto niente, non credo si faranno sentire. Non so".
Ha trovato, con grande forza, del buono nella sua tragedia personale per mandare un messaggio ai ragazzi. Da anni porta avanti un lavoro insieme agli studenti.
"Incontro i ragazzi e parlo con loro. Discuto di legalità, bullismo, cyberbullismo, droghe e alcol. Dico loro che fuori non è tutto oro e che non si è leoni in mezzo alla giungla".
Lo fa per volontariato?
"Ne vado fiero, è un dono prezioso per me e per i ragazzi. Incontrarmi significa vedere da vicino che cosa può riservare la vita, cerco così di far capire loro che non bisogna abbattersi".
Qual è il messaggio che porta nelle scuole?
"Spiego agli studenti che cosa significa vivere una seconda vita, parlo delle mie condizioni, racconto gli ostacoli che ho incontrato, cerco di spiegare ciò che prima era un qualcosa di normale adesso non lo è più".
Ci fa un esempio?
"Quando ero di pattuglia capitava che mi soffermassi ad aiutare qualcuno in carrozzina o in difficoltà, adesso sono io il disabile, ma vedo che le persone non hanno questo interesse. Non so perché, ma manca l’educazione civica, per quel che posso cerco di sensibilizzare i ragazzi. Purtroppo siamo in un Paese ancora pieno di barriere architettoniche".
Che cosa le torna indietro dal contatto con gli studenti?
"I ragazzi recepiscono molto, ascoltano ciò che non sanno, per questo sono sempre molto attenti e mi rivolgono molte domande".
Che cosa le chiedono?
"Mi chiedono se rifarei quello che ho fatto, oppure come è cambiata la mia vita".
Torniamo su questo: rifarebbe quello che ha fatto?
"Tutto, dalla a alla z. L’Arma mi ha fatto crescere e diventare un uomo e un carabiniere".
Nonostante tutto lei si sente ancora un uomo dello Stato.
"Sarebbe un’utopia non crederci, mentre la politica non mi interessa".
Si è mai sentito abbandonato?
"L’Arma è sempre stata vicina a me e a Martina, questo conta tanto".
La sua vita è diventata un libro, lo avrebbe mai immaginato?
"Assolutamente no. Avevo 17 anni e 4 mesi quando decisi di fare il carabiniere, all’epoca serviva l’autorizzazione dei genitori".
E i suoi genitori come presero la sua decisione?
"Insomma... non erano tanto contenti. Alla fine però cedettero e firmarono. Vengo da una cittadina sulle colline di Palermo, avrei potuto diventare un sommelier, ma volevo fortemente essere un carabiniere".
Lei ha più volte detto: accetto la croce, ma il perdono mai. Riferendosi all’attentatore. È ancora così?
"Mai".
Cosa si aspetta dal futuro?
"Da grande? Vorrei continuare a incontrare i giovani, mi aiutano. Le mie giornate oggi sono tornate a essere piene come lo erano una volta".