Roma, 2 novembre 2018 - Il giorno successivo alla solennità di Tutti i Santi, il 2 novembre di ogni anno, si celebra il giorno dei morti, ricorrenza Cattolica preceduta da un tempo di preparazione e preghiera in suffragio dei defunti della durata di nove giorni: la cosiddetta novena dei morti, che inizia il giorno 24 ottobre.
Il giorno scelto per commemorare i defunti viene da un rito bizantino che celebrava tutti i morti il sabato prima della domenica di Sessagesima, ossia la domenica che precede di due settimane l'inizio della Quaresima, all'incirca fra la fine di gennaio ed il mese di febbraio. Già le civiltà più antiche celebravano gli antenati tra fine ottobre e inizio novembre.
Il riferimento sarebbe al grande Diluvio, nella Genesi. Infatti Noè costruì l’arca nel "diciassettesimo giorno del secondo mese", cioè il nostro novembre. Un rito che è passato per i secoli e per le civiltà. Ma ad aver più seguito fu quella celtica, infatti la "notte di Samhain", la notte di tutti i morti e di tutte le anime, è la celebrazione più importante del calendario celtico, e si festeggiava tra il 31 ottobre e il 1° novembre.
Tradizioni che i primi cristiani facevano fatica a perdere, così la Chiesa cattolica si adeguò. Nel 835, Papa Gregorio II decise di spostare la festa di "Tutti i Santi" dal 13 maggio al 1° novembre, sperando di dare un nuovo significato religioso ai culti pagani.
Ma è un rito che nella chiesa latina viene fatto risalire già all'abate benedettino sant'Odilone di Cluny, nel 998 con la riforma cluniacense. Costui stabilì infatti che le campane dell'abbazia fossero fatte suonare con rintocchi funebri dopo i vespri del primo novembre per celebrare i defunti, poi il 2 novembre l'eucaristia sarebbe stata offerta "pro requie omnium defunctorum". In seguito il rito venne esteso a tutta la Chiesa Cattolica.
Ma qualcosa di celtico rimaneva nel rito: si ricordavano i cari scomparsi, ci si mascherava da santi, da angeli e da diavoli e si accendevano i falò. Ufficialmente la festività, chiamata originariamente Anniversarium Omnium Animarum, appare per la prima volta nell'Ordo Romanus del XIV secolo.
TANTE TRADIZIONI LOCALI IN ITALIA - Il giorno dedicato al ricordo dei defunti di consuetudine si visitano i cimiteri per porre fiori sulle tombe dei propri cari. Ma in varie località d'Italia si possono incontrare usanze differenti.
In Sicilia, ai bambini, se sono stati buoni e hanno pregato per i defunti, naturalmente, si fa credere che i cari estinti torneranno per portare loro dei dolciumi e dei doni. Il dolce più classico sono i tradizionali "pupi di zuccaro", cioè bambole di zucchero, con castagne e cioccolatini. Ma anche la frutta di Martorana viene offerta ai piccoli.
In Sardegna il 2 novembre i ragazzini si recano di porta in porta per chiedere offerte e ricevere in dono pane fatto in casa, fichi secchi, fave, melagrane, mandorle, uva passa e dolci.
Nella provincia di Massa e Carrara c'è il bèn d'i morti. In origine gli estinti lasciavano in eredità alla famiglia l'onore di distribuire cibo ai più bisognosi, mentre chi possedeva una cantina offriva ad ognuno un bicchiere di vino. Ai bambini veniva messa al collo la sfilza, una collana fatta di mele e castagne bollite. Mentre in zona monte Argentario era tradizione cucire delle grandi tasche sulla parte anteriore dei vestiti dei bambini orfani, affinché ognuno potesse metterci qualcosa in offerta. Inoltre c'era l'usanza di mettere delle piccole scarpe sulle tombe dei bambini defunti: in modo che gli 'angioletti', così chiamati, nella notte del 2 novembre tornassero in mezzo ai vivi.
In Liguria ci sono i "bacilli", o fave secche, e i "balletti", le castagne bollite. I bambini andavano casa per casa a ricevre i dolci e i nonni raccontavano storie e leggende paurose.
In Umbria i tipici dolcetti tradizionali sono a forma di fave, i "Stinchetti dei Morti".
In Abruzzo, conformemente a quanto avviene nel mondo anglosassone in occasione della festa di Halloween, era tradizione scavare e intagliare le zucche e porvi poi una candela all'interno per utilizzarle come lanterne.
La tradizione vuole che a Roma il giorno dei morti si consumi il pasto accanto alla tomba di un parente per tenergli compagnia. Sempre nella capitale si ricordavano con torce in riva al fiume le anime di chi era morto nel Tevere.
In Friuli si lascia un lume acceso, un secchio d’acqua per far dissetare l'anima e un del pane per sfamarla.
In Veneto gli uomini offrono alla propria amata un sacchetto con dentro fave in pasta frolla colorata: 'Ossi da morti'.
A Treviso si mangiano delle focacce particolari chiamate 'i morti vivi'.
In Trentino le chiese fanno risuonare le campane molte ore per chiamare le anime che si dice si radunino intorno alle case a spiare alle finestre. E la tavola resta apparecchiata e il focolare acceso per tutta la notte.
In Piemonte e in Val D’Aosta, tavole imbandite mentre ci si reca al cimitero per salutare i propri cari scomparsi. E guai a dimenticarsi di questo rito, infatti i valdostani credono che ciò provochi tzarivàri, o baccano, tra le anime.