Lunedì 5 Agosto 2024
FILIPPO BONI
Cronaca

L’umanità di Gino Cecchettin: "Turetta ha giustificato il figlio killer? Non posso giudicare un altro padre"

Il papà di Giulia, uccisa dal fidanzato, evita di commentare le parole intercettate in carcere: quel dialogo non andava divulgato. "Io e Nicola ci sentiamo, mi ha scritto durante le feste"

Il colloquio in carcere tra Filippo Turetta e i genitori e (a destra) Gino Cecchettin

Il colloquio in carcere tra Filippo Turetta e i genitori e (a destra) Gino Cecchettin

«Non sta a me giudicare l’operato e le parole di un padre, con lui mi sento, mi ha scritto durante le feste, ma quelle intercettazioni del papà di Turetta in carcere non dovevano essere divulgate perché sono notizie vecchie e fanno solo male". Ogni volta che Gino Cecchettin parla ci ricorda sempre di essere il Muhammad Alì di un’umanità smarrita: sa volare come una farfalla e pungere come un’ape. E l’aspetto più rivoluzionario è che quest’uomo non è un profeta, non vive di scritti o di sermoni, ma è un’anima che ha attraversato ogni tempesta di dolore e ci ha mostrato con quale coraggio e con quale spirito provare a farlo: senza odio, senza rancore, senza risentimento, dando prevalenza, nella sua testimonianza, solo all’umanità. Lui che prima ha perso la moglie a causa di una brutta malattia e poi, orribilmente, ha perduto la figlia Giulia, la ragazza uccisa dal suo fidanzato Filippo Turetta nel novembre del 2023.

Il riferimento di quelle parole di Gino pronunciate due giorni fa, è a quel primo colloquio tra Filippo, in carcere per l’omicidio di Giulia, e i genitori poco dopo l’arresto del giovane, finito negli atti del processo che si aprirà il prossimo 23 settembre e pubblicato dal tabloid Giallo e da tutti i giornali e telegiornali a luglio. "…Hai fatto qualcosa, però non sei un mafioso, non sei uno che ammazza le persone. Hai avuto un momento di debolezza. Non sei un terrorista. Devi farti forza…”, aveva detto Nicola Turetta al figlio, scusandosi pubblicamente dopo aver letto che quelle dichiarazioni erano finite su tutti i giornali italiani e che contro di lui, sui social, si era scatenata una vera e propria shit-storm.

«…Ero solo un padre disperato, temevo che mio figlio di suicidasse. Chiedo scusa, certe cose non si dicono nemmeno per scherzo, lo so. Ma in quegli istanti ho solo cercato di evitare che Filippo si togliesse la vita". Ed ecco che dopo la pioggia di insulti, giunge come una nevicata d’estate il commento di Gino: "Non giudico le parole di un padre. Quelle dichiarazioni non dovevano essere pubblicate". Ancora una volta Cecchettin ci offre una lezione di umanità e dignità sorprendenti, mette e tacere milioni di commenti truci e privi di pietà che sono scorsi a fiumi in queste settimane on line. Il padre della vittima che pone una mano sulla spalla al padre dell’assassino. "Lui ha un figlio omicida, immagino viva una tragedia addirittura più grande della mia", aveva detto lo scorso anno, pensando a Nicola. Ieri, ancora una volta con poche ma profonde parole, lo ha abbracciato da lontano.

Ascoltandolo viene da pensare alla bellezza che salverà il mondo nell’Idiota di Fëdor Dostoevskij del 1869. Quella bellezza di cui abbiamo immensamente sete. Il bello non dell’estetica ma del bene, nonostante tutto. La bellezza relativa ai tratti dell’irremovibilità con cui la bontà custodisce la propria perseverante giustizia. A costo di tutto. "L’uomo veramente buono" che attraversa i drammi della storia con inscalfibile bontà di cuore, ritratto evangelico del mite che sfida i cinici e la furbizia degli arroganti, nella corteccia di un’innocenza dal destino sempre incerto. Perché dopo l’abisso che ha vissuto lui non c’è niente di peggiore. E ora, "trasformare quella tragedia in una spinta al cambiamento" appartiene non alla fede, ha ripetuto più volte Cecchettin, ma alla "speranza". E quella speranza appartiene a tutti noi.