
Liliana Resinovich (foto) era una donna contesa. Due uomini nella sua vita, due storie che si intrecciavano, un equilibrio impossibile...
Liliana Resinovich (foto) era una donna contesa. Due uomini nella sua vita, due storie che si intrecciavano, un equilibrio impossibile da mantenere. Sebastiano Visintin e Claudio Sterpin. Uno era il passato da cui stava cercando di liberarsi. L’altro, il futuro che forse voleva costruire. Uno di loro sapeva che presto sarebbe stato tagliato fuori. Per anni si è provato a raccontare la favola del suicidio, ma la verità ha il brutto vizio di tornare sempre a galla. La nuova perizia medico-legale lo conferma. La scienza fa a pezzi la messa in scena. L’asfissia che ha ucciso Lilli è stata prodotta da terzi. Chi sa cosa significa morire per soffocamento sa che il corpo reagisce, si ribella, lotta fino all’ultimo respiro. Liliana non ha lottato. Non perché non voleva. Perché non poteva. Quando qualcosa appare perfetto nella sua imperfezione, significa che è stato scritto. La disperazione lascia tracce e messaggi che si accumulano nel tempo. Lilli non ne ha lasciata nessuna. Non ha cercato informazioni su come togliersi la vita, non ha scritto lettere d’addio, non ha chiuso nulla. Perché non doveva chiudere niente. Stava aprendo tutto. Cercava casa nel centro di Trieste, si informava su come divorziare senza avvocato, prelevava denaro, comprava lenzuola di flanella. Una persona che pianifica un futuro non si prepara a morire.
Resinovich era bloccata in un gioco pericoloso, stretta tra due uomini. Uno di loro sapeva che l’avrebbe persa per sempre. Uno di loro sapeva che il tempo stava per scadere. Se l’esistenza di una vittima smentisce la scena del crimine, significa solo una cosa: quella scena è stata costruita da qualcun altro. Si possono manipolare testimonianze. Si possono creare alibi. Ma ci sono prove che non si possono cancellare. Il microbiota intestinale ha confermato l’unica verità che conta: l’asfissia è stata imposta. Non un suicidio. Un femminicidio. Ora la domanda non è più se Liliana è stata uccisa. Ora resta solo una risposta da trovare. Chi sapeva, ancor prima del ritrovamento del corpo, che Liliana non sarebbe mai più tornata?