Roma, 30 settembre 2023 – Professor Carlo Smiraglia, professore ordinario fuori ruolo alla statale di Milano e già presidente del Comitato Glaciologico Italiano, siamo ad ottobre ed invece delle prime nevicate è attesa una nuova ondata di calore sul Paese, Alpi incluse. Che significa per i ghiacciai italiani?
"Quella che si prospetta è l’ennesima ondata di calore con zero termico al di sopra dei 4.500 metri, dopo una estate nella quale è salita anche sopra i cinquemila. Questo vuol dire che per le masse glaciali alpine le condizioni saranno sempre peggiori. Zero termico a quota così alta significa che tutti i ghiacciai, anche quelli ad altissima quota saranno sottoposti a fusione. Veniamo dall’estate terrificante del 2022, che noi definimmo annus hollibilis, e speravamo che il 2023 avrebbe comportato una situazione diversa per i nostri ghiacciai, ma purtroppo è andata in maniera sicuramente peggiore: abbiamo finito gli aggettivi. Io ho lavorato tanti anni con il Comitato glaciologico italiano e devo dire che in altre cinquanta anni di lavoro in alta montagna non mi sarei aspettato un regresso così rapido ed una accelerazione così marcata come quella vista negli ultimi anni. Parliamo per il 2022 e 2023 di decine di metri di spessore e centinaia di metri di lunghezza, ogni anno. Una cosa incredibile”.
Colpa dell’aumento della temperatura globale.
"Certo. Nel secolo scorso lo scioglimento era direttamente legate alle temperature elevate in estate che portavano ad una fusione e a un arretramento dei ghiacciai. Negli ultimissimi anni l’enorme quantità di acqua presente sia nei ghiacciai, sia dentro i ghiacciai, sia sotto i ghiacciai per effetto dello scioglimento causato dall’aumento delle temperature accelera il processo, si aprono anche ad alta quota dei crepacci circolari nei quali entra l’acqua, crea delle cavità e poi fa collassare tutto. Da notare che apparentemente in Italia abbiamo un aumento del numero dei ghiacciai, ma non è che se ne formino dei nuovi, sono i vecchi che si frammentano ritirandosi. E’ la premessa della loro scomparsa o quasi”.
Le previsioni parlano di una scomparsa dell’80% dei ghiacciai italiani entro il 2060. E’ una stima da confermare o andrà rivisto in peggio, visti gli ultimi sviluppi?
"Io credo che ragionevolmente queste stime dovranno essere aggiornate in negativo. Negli anni ‘90 si diceva che ghiacciai come quello dei Forni si ipotizzava una frammentazione tra alcuni decenni. Questa cosa è invece già avvenuta nei primi venti anni del nostro secolo. Tutto è molto più veloce del previsto. A meno di sviluppi improbabili, assisteremo ad una “appenninizzazione” delle nostre Alpi, il paesaggio alpino ricorderà grossomodo quello dei Pirenei, con qualche piccolo ghiacciai sulle cime e poi più nulla”.
Oltre alla questione paesaggistica ce ne sono molte altre, ad esempio quella relativa alla siccità.
"Certamente. Lo scioglimento, che nei prossimi anni causerà una riduzione enorme dei volumi del ghiacciai e avrà impatti non trascurabili anche in pianura. A breve, per alcuni anni, ci sarà un aumento della portata estiva dei torrenti di montagna. Ma poi questo effetto svanirà. Ci stiamo bruciando una riserva preziosa di acqua, che pesa per meno del il 20% di un grande fiume come il Po, ma che per quanto piccola è veramente essenziale in estate, o comunque in periodo di siccità. Se il Po non è andato completamente in secca nel 2022 è perché c’era l’acqua che veniva dai ghiacciai. Quando i ghiacciai si saranno estinti, perderemo una percentuale percentualmente non enorme di acqua ma molto, molto significativa per l’ecosistema fluviale. Una vera riserva strategica che se ne andrà per sempre”.