Genova, 6 agosto 2024 – La pericolosità di padre Andrea Melis, arrestato a Genova nei giorni scorsi per violenza sessuale su un 12enne, “è ancora maggiore se si pensa al fatto che è portatore di Hiv e che ha intrattenuto rapporti senza precauzioni” esponendo la sua vittima “al pericolo”.
A scriverlo è il giudice per le indagini preliminari Milena Catalano, che ha disposto gli arresti domiciliari per il sacerdote, ex direttore della scuola e fondazione Padre Assarotti e ex direttore della Fidae Liguria (Federazione di scuole cattoliche primarie e secondarie). Il sacerdote avrebbe contratto l'Hiv 10 anni fa in Africa, come lui stesso ha ammesso agli investigatori, ma era in cura riducendo così il rischio di contagio. Il ragazzino non è stato infettato ma se dovessero spuntare casi di persone che hanno contratto il virus dopo essere state con il prete, la Procura potrebbe contestare anche le lesioni dolose gravissime.
Il parroco è accusato di violenza sessuale su minorenne, prostituzione minorile e tentata violenza aggravata. La misura cautelare è scattata solo per il primo reato, gli abusi reiterati ai danni di un dodicenne. Sulle altre due accuse a carico del religioso, il gip ha in sostanza rimandato la valutazione a ulteriori sviluppi investigativi.
Nella sua abitazione gli investigatori hanno sequestrato farmaci per la stimolazione sessuale ma anche capi di abbigliamento griffati e una fornitura di sigarette elettroniche che regalava ai ragazzini per attirarli a casa.
"Padre Melis vive con un'infezione da Hiv ma è in cura all'ospedale San Martino di Genova e da oltre 10 anni la terapia che sta seguendo ha dato esiti positivi, poiché i controlli che periodicamente esegue confermano la non rilevabilità del virus che quindi è totalmente sotto controllo e per l'appunto irrilevante”. Lo scrivono in una nota gli avvocati Raffaele Caruso e Graziella Delfino, che difendono il sacerdote. “Quando il virus non è rilevabile non è nemmeno trasmissibile. Questo è un principio e una conquista dell'infettivologia. Chi si trova in questa condizione - continuano - non è neanche tenuto a comunicarla perché egli non rappresenta un pericolo per gli altri. Il secondo dato è quello dell'ultra sensibilità di questa informazione: su questi dati dovrebbe stendersi in maniera totale il velo della privacy per evitare che un dato di paura istintiva, che spesso è dovuta all'insufficienza delle informazioni scientifiche, non provochi uno stigma sulle persone”. “Il pensiero va ancora una volta alla persona offesa - concludono gli avvocati - che si trova sulle spalle anche la diffusione di un'informazione di questo tipo che aggiunge il rischio di un peso ulteriore al dolore che la vicenda reca con sé. Padre Melis non aveva comunicato questa notizia a nessuno, né al suo ordine, né alla sua famiglia. Nessuno conosceva questo dato, ma questo silenzio ha una sua legittimità che nasce anche dalle conquiste della scienza. Nonostante il silenzio serbato rispetto ai fatti, padre Melis ha invece comunicato agli inquirenti questa informazione”.