Giovedì 26 Settembre 2024
ERIKA PONTINI
Cronaca

Generale Mori: “Adesso attacco e mi diverto io”

L’ex comandante del Ros e direttore del Sisde è a Isola del Libro al Trasimeno, in Umbria, la sua prima uscita pubblica dopo l’assoluzione in Cassazione il 23 aprile scorso

Il generale Mario Mori

Il generale Mario Mori

Perugia, 19 settembre 2023 - "Adesso attacco e comincio a divertirmi io. Mi sto curando, faccio ogni giorno 4-5 chilometri a piedi, cerco di non ingrassare perché li devo veder morire tutti. Lo dico con trasporto, con odio. Vuole i nomi?". Li vorrebbe fare? "No". Ma il riferimento è a quanti l’hanno voluto alla sbarra per 17 anni. "Io ero il nemico necessario a questo circo mediatico giudiziario e politico", aggiunge con l’amarezza che diventa rabbia. “Non sono stato un imputato normale, conoscevo le carte quanto, se non più, dei miei accusatori, conoscevo quell’ambiente e mi ci sapevo muovere. Avevo il sostegno dei miei uomini, avevo i soldi per andare a Palermo a difendermi. Un altro al posto mio si sarebbe dovuto affidare alla clemenza della Corte, altrimenti sarebbe stato fottuto”.

Il generale Mario Mori, già comandante del Ros e direttore di Servizi segreti civili (Sisde) è a Isola del Libro al Trasimeno, in Umbria, insieme al già procuratore generale Fausto Cardella (il magistrato che indagò sulle stragi insieme a Ilda Bocassini), alla sua prima uscita pubblica dopo l’assoluzione in Cassazione il 23 aprile scorso nel processo ’Trattativa’, ovvero l’accusa mossa ai carabinieri di aver tramato con cosa nostra nel 1992-1994 per minacciare lo Stato e ottenere benefici per i mafiosi. Per minaccia a corpo dello stato Mori, l’ex comandante Antonio Subranni e il colonnello Giuseppe De Donno furono prima condannati, poi assolti in appello perché ’il fatto non costituisce reato’. Un verdetto che pur riconoscendo ai carabinieri di aver agito per disinnescare le stragi bacchettò come "improvvida" l’iniziativa dei Ros di cercare un canale di comunicazione attraverso Vito Ciancimino, ex sindaco di Palermo, con i vertici mafiosi.

La Cassazione l’ha assolta perché il fatto non sussiste ma le motivazioni non sono ancora state depositate, si aspetta una riabilitazione completa?

Mi aspetto ragionevolmente che la sentenza metta in risalto cosa ho fatto. Sì, di essere riabilitato mentre non mi aspetto nulla dalle persone che mi hanno attaccato perché è povera gente.

Passo indietro. Come andò la Trattativa. Ne parlò lei stesso alla Corte d’assise di Firenze che indagava sulle bombe nel continente nel ’98.

Sì, usai io quella parola, avrei potuto dire relazione ma quando parlai con Ciancimino sapevamo entrambi che io chiedevo qualcosa a lui e lui voleva qualcosa in cambio: era una trattativa.

Che successe?

Dovevamo trovare chi era già nel sistema degli appalti e quell’uomo era Vito Calogero Ciancimino. Subito dopo la morte di Falcone e prima dell’omicidio di Borsellino lo incontrammo con De Donno che lo aveva già arrestato per gli appalti. Lo feci senza avvertire i miei superiori perché mi avrebbero bloccato… io nelle indagini ho bisogno di lavorare per conto mio.

Nemmeno al suo superiore, il generale Subranni?

Sì, ma dopo il secondo incontro.

E ai magistrati?

No, perchè nel frattempo ero in rottura con la procura di Palermo rappresentata dal procuratore Pietro Giammanco.

Chi era Ciancimimo?

Si considerava un’autorità, era stato sindaco di Palermo, diceva di non essere mafioso e forse non era formalmente affiliato. Non gli bastava De Donno ma aveva bisogno di un ’parigrado’, la prima discussione fu strana. Parlammo di tutt’altro, cose che non c’entravano niente. Al secondo mi disse ’che volete da me’? E io usai il termine ’Trattativa’. ‘Signor Ciancimino così è un muro contro muro’. Non potevamo permetterci di fare gli sbruffoni perchè a quel tempo avevano vinto loro: era morto Falcone, era morto Borsellino, erano morti i migliori di noi. Stavamo sotto. Non ho avuto un’indicazione da nessuno dei miei superiori, dai ministri. Inutile negarlo: eravamo in difficoltà. Comandavo il reparto operativo più importante di Italia ma nessuno che mi abbia detto ‘facciamo qualcosa’. Erano tutti terrorizzati, nascosti sotto le scrivanie aspettando che passasse la piena.

Come andò?

Ero un professionista, sapevo quali erano i miei limiti in quel momento, l’ho trattato da pari. Ai primi di ottobre mi sorprende. Io da Ciancimino speravo qualche informazione per arricchire la mia capacità informativa e svilupparla. E invece mi disse ‘Ho parlato con chi di dovere’ e mi chiese cosa offrivamo in cambio. La mia risposta era molto facile. ‘Se loro si consegnano trattiamo bene loro e le loro famiglie. Ciancimino era sulla poltrona, sbattè le mani sulle ginocchia, si alzò. ‘Voi mi volete morto, anzi volete morire anche voi’. Ci cacciò di casa. Per De Donno avevamo fatto un buco nell’acqua, io no, mi resi conto che era terrorizzato e aveva realmente preso contatti. Sarebbe tornato”.

L’ultimo incontro il 18 dicembre…

“Andò solo De Donno perché io lo avevo trattato male ma intorno c’era odore di sbirri, il giorno dopo Ciancimino fu arrestato per pericolo di fuga. Ma si figuri, dove andava con quella faccia, anche al Polo nord lo avrebbero riconosciuto. Se fosse rimasto libero ce lo avrebbe fatto prendere Riina, perché sapeva che attraverso quell’informazione avrebbe potuto mercanteggiare”.

Lo avete preso lo stesso

Sì, ma per altra via.

Trent’anni dopo l’arresto di Matteo Messina Denaro da parte del Ros. Le perquisizioni dei covi quasi in diretta. Ci ha letto una riabilitazione rispetto alla polemica mai chiarita sulla mancata perquisizione di casa Riina?

L’ho pensato anche io. Le circostanze che hanno preceduto l’arresto di Messina Denaro l’hanno quasi imposto ma dal punto di vista tecnico-professionale quello di esibire queste perquisizioni è una sciocchezza. Le rendo pubbliche quando le avrei potute gestire diversamente.

Ma voi non perquisiste, eppure Riina fu trovato con i pizzino in tasca…

Non era il covo ma l’abitazione dove viveva la moglie. La decisione è stata presa dai magistrati con la polizia giudiziaria accettando il rischio che andavano perse alcune informazioni.

Chi era Messina Denaro, che peso aveva nell’organigramma della mafia?

All’epoca era un colonnello, il padre un grande mafioso e gestito da grandi mafiosi. Si cerca sempre il successore di… ma penso che abbiamo perso troppo tempo per prenderlo. In quel paese lo sapevano tutti, tranne i poliziotti e i carabinieri.

E perché non è stato preso?

La mafia è un’organizzazione mafiosa, non solo criminale ma ha una subcultura frutto di una storia.

C’è un successore di Messina Denaro?

La mafia è morta.

Sarà una mafia diversa?

C’è una differenza nella mafia, c’è quella dei viddani e quella dei cittadini. La seconda vince le battaglie, la prima le guerre. La guerra di mafia l’ha vinta Riina nei confronti dei Badalamenti, degli Inzerillo, dei Greco.

Lei ha scritto un libro: Mafia e appalti: la storia di un’informativa che sarà presto in libreria…

Sì, l’informativa… Almeno consegnatela a me, mi disse Falcone, che così avallo con la mia firma. Cos’era quel rapporto? La mafia degli affari. Falcone disse durante un convegno: ’La mafia è entrata in borsa’ e intendeva proprio quello. Cioè era passata dal pizzo ai livelli superiori. La morte di Borsellino però accelerata anche per questo motivo. Mafia e appalti è la storia del mio percorso professionale. Finché avrò un giorno di vita, lo presenterò in tutta Italia, mi toglierò tanti sassolini dalle scarpe e chiederò conto di tutti gli atti avvenuti tra la morte di Falcone e Borsellino. Sono agghiaccianti.