Buio e silenzio. Anche la casa dei nonni di Elena e Diego sembra piangere. Dieci gradini separano Ambrogio e Rosella Bressi dal resto del mondo. Da quando Mario, il loro ragazzone di 45 anni, ha ucciso i suoi bambini e si è tolto la vita, nulla è più come prima. Ma fuori la calura di una domenica d’estate non ferma il viavai dei ragazzini in bici. Nell’aria il suono del citofono, scatta il cancello. L’ex segretaria di scuola media aspetta sul pianerottolo. Il dolore le segna il volto, gli occhi cerchiati, i capelli castani alla maschietto, ma la sofferenza non cancella la dignità di una vita che sa di acqua di colonia, impegno e sacrificio per dare un futuro a quel solo figlio così amato, protagonista di un gesto incomprensibile.
La mamma tende la mano, la stringe, si lascia accarezzare il viso. "Non ce la facciamo, non riusciamo a parlare". Dietro, fra il salotto e la cucina perfettamente ordinata, passa il marito, pensionato mai stanco di aiutare gli altri nell’associazione della parrocchia, di cui è una delle colonne. Ma oggi sembra tutto senza senso. Anche quella casa a Gorgonzola, dove ogni giorno, prima del lockdown, risuonava la gioia di vivere dei due nipoti pare disabitata. "Non riusciamo a credere che non ci siano più, abbiamo perso tutto quello che avevamo: un figlio e i bambini. Siamo soli", ha confessato la coppia sotto choc agli amici di sempre. Due rampe di scale più su, nel palazzo marrone anni Settanta, nell’hinterland Milanese, dove la famiglia aveva traslocato 40 anni fa, abitano Antonio e Bruna Gariboldi. È lei che ha scritto una lettera a nome dei condomini. "Tutti i nostri pensieri e le nostre parole non riescono a riempire questo immenso dolore. D’ora in poi Mario e i piccoli ci benediranno dal cielo. È il nostro modo di essere vicini alla vostra sofferenza". Qui nessuno si azzarda a giudicare, c’è solo un immenso affetto per quelli che non sono solo vicini.
"Rosella aveva colto delle difficoltà fra i ragazzi, ma nulla che facesse pensare a una separazione. Non aveva avuto il coraggio di parlarne col figlio: noi genitori, in questi casi, abbiamo paura di sentirci dire che sì, ci sono dei problemi". Al piano di sotto, Enzo Vicenzi, ex docente di educazione tecnica della scuola media di Mario e Daniela. Seduto alla scrivania, in un severo studio di legno scuro, il professore rivede quei due ragazzini. "Lui, già allora riservato, educatissimo, ineccepibile. Ha vissuto in una famiglia che ritengo perfetta. Lei, è diventata una donna molto sicura di sé. Mario un assassino? Impossibile, mi sono detto. Ho sperato fosse un incubo da cui risvegliarsi. Purtroppo non è stato così".
C’è un’altra casa ammutolita dal dolore. A un a manciata di chilometri, a Gessate, nella palazzina gialla dove la favola è finita per sempre, il cancello grigio è una bacheca per i coetanei dei gemelli. Un palloncino azzurro a forma di cuore. Le letterine in bella calligrafia per gli amici che non ci sono più. "Elena, mi ricordo ancora quando mi chiedevi di farti le trecce". "Diego, ti voglio molto bene, non puoi immaginare quanto". "Vi ricordo quando facevamo i compiti, voi urlavate e io morivo dal ridere". Quelle risate si sono spente per sempre. Nel prato vicino i passerotti cinquettano: è l’unico suono che riempie il vuoto.