Lorenzo
Bianchi
Il calderone dei Balcani occidentali è di nuovo in ebollizione, oltre trent’anni dopo le guerre. L’ultimo campanello di allarme è un filmato del padre del campione di tennis Novak Djokovic. Srdjan, il genitore, festeggia la vittoria del figliolo nei quarti di finale degli Australian Open. Al suo fianco c’è un uomo che sventola un ritratto di Vladimir Putin e che indossa una maglietta sulla quale spicca una Z, la lettera dipinta sui carri armati di Mosca che hanno invaso l’Ucraina. Con la Bielorussia la Serbia è l’unico Stato Europeo che non ha aderito alle sanzioni contro la Federazione Russa. Il presidente serbo Aleksandar Vučić si è illuso, secondo Luisa Chiodi, direttrice dell’Osservatorio Balcani e Caucaso, di poter continuare la politica di non allineamento della Jugoslavia di Tito. Ma nulla è più come prima. In Bosnia il presidente dell’entità serba Milorad Dodik ha assegnato la sua massima onorificenza a Putin e sogna di far nascere un nuovo Donbass. Nel Kosovo settentrionale, abitato da una maggioranza serba, l’arresto di un poliziotto accusato da Pristina di "cospirazione e terrorismo" ha scatenato uno stillicidio di esplosioni, di scontri e di proteste di piazza. Vučić ha chiesto alla Nato di mandare truppe nella regione contesa. Il primo ministro kosovaro Albin Kurti, esponente del partito nazionalista di sinistra Vetvendosje, accusa Belgrado di minacciare una nuova guerra. Ai 500mila serbi del Kosovo non basta la promessa di una federazione di municipalità con poteri in materia di economia, istruzione, sanità e pianificazione urbana che dovrebbe rappresentarli di fronte al governo di Pristina. La pentola a pressione continua a sbuffare con violenza. "È una situazione vecchia di 10–12 anni che conosce un’accelerazione per via della questione russa" riassume Aleksandra Lucic, direttore del settore notizie di Pink Tv, la principale rete televisiva privata della Serbia.