Beppe Fioroni, già ministro all’Istruzione, viene da una lunga filiera, quella della Dc-Ppi-Margherita. Quando nacque il Pd ne era il segretario organizzativo. Membro del ‘comitato dei 45’ (i padri costituenti dell’allora Pd), cattolico-democratico a tutto tondo, forti antenne e solidi rapporti con il mondo cattolico, non fa più politica attiva ma ne resta acuto osservatore.
Paola De Micheli: "Sì alle armi per Kiev. Voglio un nuovo Pd, più potere agli iscritti"
Fioroni, sarà contento, il Pd torna a crescere, si allarga a sinistra aprendosi a Bersani, Speranza e gli altri ex, e ha anche un nuovo Manifesto dei Valori.
"Intanto faccio gli auguri a Stefano Bonaccini, che ha un grande lavoro di ricostruzione davanti a sé... Detto questo, il nuovo Manifesto del partito, la Carta dei Valori, mi lascia molto perplesso. Sono rimasto attaccato alla carta d’identità del 2007 che tracciava il futuro del Pd e diceva dove dovevamo arrivare. Venne scritta da gente del calibro di Ceruti, Parisi, Reichlin, Scoppola. È prevalsa la scorciatoia del ‘cambiamo tutto’, ma chi dileggiava il Pd veltroniano del ‘ma anche’ ha scritto un nuovo Manifesto nella logica del ‘ma-anchismo’. Vale la Carta dei Valori vecchia ‘ma anche’ la nuova".
Due carte sono un problema?
"Così non funziona. A un partito ci si iscrive perché si condividono dei valori che generano identità e appartenenza. Difficile pensare che un partito ne possa avere due, di Carte dei Valori: quella del 2007 e del 2023. Inoltre, il nuovo Manifesto dice e non dice, si limita a un elenco di sfide contingenti, ma nel Manifesto di un partito c’è la sua natura: qui mancano concetti per me fondamentali come persona, famiglia, comunità, l’umanesimo integrale come lo intendeva Maritain. C’è spazio solo per i diritti individuali. Ma un grande partito popolare deve restituire una visione di società, di uomo, di speranza, basata su radici profonde".
Quale dovrebbe essere il compito del Pd?
"Siamo a un momento di svolta per il Pd. Si deve fare chiarezza e capire se questo partito serve ancora al Paese. Un partito dalle porte girevoli per alcuni e dalle porte sbarrate per altri non può funzionare.
Si riferisce al ritorno della sinistra di Articolo 1?
"Il Pd è nato con l’ambizione di tenere insieme culture plurali. Ma cambiare la dirigenza e le forme per tenere insieme solo cento sfumature di rosso e tornare alla vecchia socialdemocrazia, andando oltre la propria storia, non porta a nulla".
E la ricerca di un accordo con il M5S come la vede?
"Mi sembra un colossale errore, seguito dal pianto greco perché ci snobbavano. Altro che vocazione maggioritaria. Siamo diventati i gregari di partiti altrui. Aver sciolto Ds e Margherita per diventare i gregari di Conte è ridicolo. Le sfide del futuro si affrontano con le radici e le culture politiche da cui il Pd è nato".
I cattolici-popolari si sentono stretti nel Pd attuale?
"Abbiamo assistito, e assisto ancora, a continui abbandoni di area cattolica popolare sui territori. L’illusione di alcuni è che chi viene dalla nostra storia rappresenti una tradizione politica superata come se quei valori non fossero più linfa vitale, per il Pd. Ma la costante emarginazione di esponenti ex Ppi ed ex Margherita accompagnati alla porta in ogni provincia e in ogni regione, nelle candidature alle elezioni e non solo, è un dato di fatto. Siamo diventati ospiti sgraditi e solo paganti. Non ci sentiamo più a casa nostra".
La soluzione è allearsi con il Terzo Polo?
"Prima di definire le alleanze è necessario dirci chi siamo. Poi bisogna lavorare per cambiare la legge elettorale e introdurre un proporzionale con le preferenze in modo che i cittadini possano scegliere i loro eletti. L’alternativa passa per un rapporto con il Terzo Polo ed è bene che Renzi e Calenda lavorino a un nuovo soggetto politico per allargare gli orizzonti. La stagione politica attuale necessita di pluralità, coraggio e generosità. L’esatto contrario del perverso ‘meno siamo, meglio stiamo’".