Venerdì 22 Novembre 2024
ANTONELLA COPPARI
Cronaca

Figli di coppie gay, l’Italia chiude all’Europa: "No al riconoscimento". Ira Pd

Bocciata la bozza di regolamento Ue sulla genitorialità Lgbt. "Rischio maternità surrogata". Milano, stop alla trascrizione dei certificati di nascita. Sala: "Un passo indietro enorme"

Il senatore di FdI, Giulio Terzi (Ansa)

Il senatore di FdI, Giulio Terzi (Ansa)

Una vera e propria offensiva a tutto campo. Inattesa, imprevista ma non casuale. Milano e Roma, la Regione Lombardia e la maggioranza in Parlamento fanno muro contro il riconoscimento dei diritti dei figli di coppie dello stesso sesso. Ieri a palazzo Madama la commissione Politiche europee ha approvato la risoluzione presentata da Giulio Terzi di Sant’Agata (FdI) con 11 voti favorevoli (i partiti di centrodestra) e 7 contrari (le opposizioni), che boccia la proposta di regolamento Ue che prevede che la genitorialità stabilita in uno Stato membro venga riconosciuta da tutti gli altri senza alcuna procedura speciale, che si tratti di figli di coppie eterosessuali, omogenitoriali, figli adottati o avuti con maternità surrogata, ove consentita.

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Il testo presentato dall’ex ministro degli Esteri del governo Monti sostiene che l’obbligo di riconoscimento del certificato di filiazione Ue non rispetta i principi di sussidiarietà e proporzionalità, per cui se fosse adottato sarebbe un’invasione del diritto europeo su quello nazionale, in particolare per la maternità surrogata, illegale da noi: divieto che si teme possa essere aggirato con l’okay al regolamento. "Così si compie un passo avanti nella costruzione di uno spazio europeo dei diritti", esulta Terzi quando tutto è compiuto. Insorge l’opposizione compatta: "Il parere della maggioranza mette l’Italia accanto a Polonia e Ungheria restringendo l’ambito dei diritti", tuona la capogruppo Pd Simona Malpezzi. "La destra inscena un teatrino ideologico sulla pelle dei bambini", insistono i cinquestelle Dolores Bevilacqua e Pietro Lorefice. Ma gli esperti spiegano che questo voto difficilmente riuscirà a bloccare il regolamento europeo: perché ciò accada è necessario che una serie di parlamenti nazionali si esprimano con parere motivato sul rispetto dei principi di sussidiarietà e proporzionalità, con conseguente obbligo per la Ue di riesaminare la sua proposta. Una procedura che, nella storia, si è verificata un paio di volte.

Se la questione formalmente è complessa, politicamente invece è molto nitida: palazzo Madama si arma e corre alla barricate sulle quali si era già attestata la regione Lombardia. Sì, perché l’altro ieri il comune di Milano ha dovuto interrompere le registrazioni dei figli nati da coppie omogenitoriali in Italia in base a una circolare inviata dal prefetto del capoluogo meneghino su impulso del ministero dell’Interno che ha chiesto di adeguarsi ad una sentenza della Cassazione di fine dicembre. "Non è competenza dei sindaci registrare questi bimbi", insiste la ministra per la Famiglia, Eugenia Roccella. Lo stop riguarda i nuovi atti di nascita: nessun effetto retroattivo per i figli delle 300 coppie omogenitoriali già registrati. "Un evidente passo indietro politico e sociale", lo definisce il sindaco Beppe Sala, che sottolinea il vuoto legislativo a cui i primi cittadini italiani hanno dovuto finora sopperire. E chiede una normativa nazionale su questa materia.

Il primo provvedimento di Giorgia Meloni e del ministro Matteo Piantedosi in tema di diritti – lamentano sinistra e famiglie arcobaleno – lascia molti bambini in situazione di disparità, visto che ora per legge hanno un solo genitore mentre l’altro è fantasma, rispetto ai figli delle coppie eterosessuali. Allo stato a Milano restano sospesi 8 atti; 17 sono invece le trascrizioni effettuate di bimbi nati all’estero da coppie omogenitoriali (5 con due madri, 12 con due papà) mentre i riconoscimenti di seconda mamma – quindi di bimbi nati in Italia – sono 17. "Questo governo – commenta Gabriele Piazzoni, segretario generale dell’Arcigay – ha una strategia persecutoria nei confronti delle persone Lgbt". Di sicuro c’è che la tregua di fatto seguita alle elezioni e alla fase congressuale del Pd è finita. Il campo di battaglia? Immigrazione e diritti.