Giovedì 19 Dicembre 2024
FILIPPO BONI
Cronaca

Ferragosto di fuoco, quell’irresistibile richiamo. Sì viaggiare, anche in coda

Com’è cambiata l’Italia. Dalle utilitarie con i portapacchi sul tetto alle app per programmare le fughe estive

Roma, 15 agosto 2024 – L’automobile che arranca stracarica di valigie all’inverosimile, il portabagagli strizzato e legato con la fune, tutti spremuti a bordo e via in vacanza, in fila in autostrade strapiene, in viaggio, verso il mare. La città che si svuota malinconica, le cicale che cantano sui pini marittimi, le ombre dei palazzi che si allungano come spettri solitari sulle strade deserte e incandescenti. Le spiagge stracolme, gli ombrelloni accatastati, i cestini del pranzo che straboccano all’inverosimile. Già. Fotografie dell’Italia di un tempo che dal dopoguerra in poi non ha mai rinunciato alle vacanze la settimana di Ferragosto.

Da sinistra: un'utilitaria in autostrada negli anni Settanta e scene da esodo estivo alla stazione di Milano negli anni Sessanta
Da sinistra: un'utilitaria in autostrada negli anni Settanta e scene da esodo estivo alla stazione di Milano negli anni Sessanta

In realtà, da buoni italiani, siamo innamorati delle tradizioni, ed a questa festa siamo legati da millenni. La sua etimologia deriva dalla locuzione latina Feriae Augusti (riposo di Augusto), fu istituita proprio dall’imperatore romano Augusto nel 18 a.C. per celebrare la fine dei lavori agricoli e consentire ai cittadini dell’Impero un equo periodo di riposo estivo. Nell’antica Roma in questo periodo nessuno lavorava; in tutto l’Impero si organizzavano libagioni con eventi di ogni tipo: dalle sfilate di animali agghindati alle corse dei cavalli, i cui vincitori ricevevano in premio un tessuto pregiato, il pallium (da qui il famoso Palio).

Nonostante la Chiesa abbia stabilito di far combaciare la ricorrenza pagana del Ferragosto con la festività religiosa dell’Assunzione di Maria, la dimensione laica d’epoca romana non ha mai davvero ceduto il posto alla successiva conversione al cattolicesimo. Poco, infatti, è cambiato duemila anni dopo Augusto, nell’Italia post-bellica, prima a trazione agricola e poi, durante il boom economico, industriale. I contadini in questo periodo riposavano, tiravano il fiato dopo la mietitura del grano di luglio, prima delle vendemmie settembrine e delle semine autunnali. Gli operai degli anni Cinquanta e Sessanta si occupavano di tutt’altro, ma per le vacanze poco o nulla cambiava. La settimana di Ferragosto quasi tutte le fabbriche chiudevano, venivano organizzati treni speciali per i lavoratori in viaggio verso il sud, bollino rosso per il traffico in autostrada, città chiuse per ferie.

E oggi? Nell’era digitale, quella in cui siamo tutti iperconnessi con il mondo virtuale dei social e in cui lo smartphone ti avvisa per qualsiasi cosa o necessità: traffico, incidenti, meteo, notizie in tempo reale, la tradizione della vacanza durante la settimana di Ferragosto per gli italiani sembra proprio non passare. Certo, tantissime cose sono cambiate: l’esodo dalle città verso il mare è un fenomeno che non coincide più alla nostra quotidianità. Il mondo del turismo oggi è sempre più mordi e fuggi, destagionalizzato e non più orientato soltanto verso mete balneari. Ormai le città sono vive per dodici mesi all’anno. Inoltre, nel mondo del lavoro, viviamo l’era della flessibilità degli orari e dello smart working, questo ovviamente influisce anche sulla scelta del periodo delle vacanze.

Eppure, ovunque, in Italia, la settimana di Ferragosto si respira l’aria della vacanza anche restando a casa. Social impregnati di storie e post con foto di persone all’affannata ricerca di scatti e sorrisi a 33 denti da acque cristalline o da tavole trimalchioniche millantando un effimero buon umore, strade affollate di gente che corre verso il mare, negozi chiusi, medici che reperisci con difficoltà, ristoranti pieni con camerieri stressati e clienti che urlano sudati. Insomma, la tradizione sembra inestirpabile.

Un motivo, forse, al di là della storia c’è. È quella misteriosa e genetica ricerca della felicità che muove gli italiani che fuggono verso lidi lontani, alla ricerca di sogni un po’ confusi tra ricordi e progetti. Lo sapeva anche Carlo Cassola, che nel suo bellissimo Ferragosto di morte del 1980, parte della cosiddetta “trilogia atomica”, scrisse che “la felicità è una gioia acuta che sconvolge il cuore, quella specie di spasimo dell’anima”. Uno spasimo a cui tutti, in fondo, ci attacchiamo con disperata tenerezza, e forse, perché no, anche con un filo d’irreversibile malinconia.