Furci Siculo (Messina), 21 luglio 2024 – La Cassazione ha annullato l’ergastolo per il femminicidio di Lorena Quaranta, 27 anni, studentessa di medicina. E la motivazione fa subito discutere: Antonio De Pace, il fidanzato reo confesso, era stressato dal Covid. Ma andiamo con ordine e vediamo prima di tutto le parole usate dai giudici. Per la cronaca: cinque uomini. Abbiamo letto la sentenza. Ecco cosa dice.
Le parole della Cassazione
“Rebus sic stantibus, deve stimarsi che i giudici di merito non abbiano compiutamente verificato se, data la specificità del contesto, possa, ed in quale misura, ascriversi all’imputato di non avere “efficacemente tentato di contrastare” lo stato di angoscia del quale era preda e, parallelamente, se la fonte del disagio, evidentemente rappresentata dal sopraggiungere dell’emergenza pandemica; con tutto ciò che essa ha determinato sulla vita di ciascuno e, quindi, anche dei protagonisti della vicenda, e, ancor più, la contingente difficoltà di porvi rimedio, costituiscano fattori incidenti sulla misura della responsabilità penale".
“Annullamento con rinvio”
Con queste parole il 9 luglio la Cassazione ha annullato la condanna all’ergastolo di Antonio De Pace, “limitatamente al diniego delle circostanze attenuanti generiche”, e ha rinviato “alla Corte di Assise di appello di Reggio Calabria, affinché proceda ad un nuovo esame sul punto che, libero nell’esito, sia esente dai vizi riscontrati”.
Le parole dell’avvocato difensore
Chiarisce al telefono con Qn.net uno dei difensori di Antonio De Pace: “Stiamo parlando di un annullamento con rinvio, quindi la futura sentenza potrebbe anche confermare l’ergastolo”. Ma non costituisce un pericoloso precedente? “Sì – riconosce il legale -. Ma gli stati emotivi e passionali sono già considerati come indici per concedere le attenuanti generiche. In questo caso, l’ergastolo era stato determinato dall’aggravante introdotta dal codice rosso. E già in appello il procuratore generale aveva chiesto 24 anni, rifacendosi proprio alle circostanze attenuanti”.
Il femminicidio di Lorena Quaranta
Agghiacciante la ricostruzione del delitto nelle pagine della Cassazione. Siamo alle 6 del mattino del 31 marzo 2020, in piena pandemia da Covid 19, come viene ampiamente ricordato fin dall’inizio del testo. L’infermiere provocò la morte della compagna “colpendola con un oggetto contundente alla fronte, mettendosi prono su di lei sì da immobilizzarla in posizione supina, con le braccia bloccate, e apponendo la mano destra su naso e bocca e stringendo il collo con quella sinistra, fino a cagionare un arresto cardio circolatorio per asfissia acuta da soffocazione diretta e subito dopo provò, senza riuscirci, ad uccidersi provocandosi dei tagli ai polsi”.
Il riferimento costante all’epidemia di Covid
Nelle 12 pagine della sentenza è costante il riferimento all’epidemia di Covid. Che in sostanza fa da cornice al femminicidio. Scrivono i giudici in un altro passaggio: “In un frangente storico drammatico, in cui l’umanità intera è stata chiamata, praticamente dall’oggi al domani, a resistere ad un pericolo sino a quel momento sconosciuto, invasivo ed in apparenza inarrestabile”, l’imputato “ha vissuto un disagio psicologico, poco a poco evoluto in ansia, e quindi in angoscia, per attutire il quale ha pensato (...) di raggiungere i genitori e i fratelli, a costo di sottrarsi all’adempimento dei doveri di assistenza e solidarietà verso la compagna di vita”.