Domenica 22 Dicembre 2024
PATRIZIA TOSSI
Cronaca

Violenza sulle donne, le parole per dirlo: “Il linguaggio è lo strumento per cambiare”

Marina Cosi, fondatrice della rete ‘GiULiA – Giornaliste Unite Libere Autonome’, e la riflessione sull’importanza del linguaggio di genere

Marina Cosi, tra le fondatrici della rete GiULiA

Roma, 22 novembre 2023 – Le parole sono immagini, definiscono i confini del mondo. Esprimono chi siamo, costruiscono recinti o al contrario ci aiutano a immaginare un futuro diverso. “Le parole sono pietre”, scriveva Carlo Levi e per questo la scelta del linguaggio non è mai causale.

All’indomani della tragedia di Giulia Cecchettin, l’uso delle parole per raccontare l’ennesimo femminicidio – un numero altissimo che cresce di giorno in giorno – fa riflettere: quali parole usare per descrivere la violenza contro le donne senza stereotipi? Ad aiutarci a riflettere su un tema così importante e delicato è Marina Cosi, una delle fondatrici della rete ‘GiULiA –  Giornaliste Unite Libere Autonome’ ed esperta di linguaggio di genere.

Marina, come si racconta un femminicidio?

“Bisogna sempre mettersi nei panni della persona uccisa. Se è una donna, bisogna cercare di capire i motivi che hanno portato al femminicidio: se siano quelli classici (come la violenza caratteriale dell’omicida), oppure se le radici siano culturali. Spesso le donne sono considerate una proprietà soggetta all’uomo. È un bagaglio sottile che ci portiamo dietro fin dalla nascita”.

Perché le parole sono importanti?

“Il linguaggio forma i nostri pensieri, quindi le parole che usiamo per scrivere e parlare sono sempre importanti. Il linguaggio è la chiave di tutto: con le parole possiamo negare il ruolo della donna nella società – declinando nomi e cariche al maschile – oppure usare il linguaggio di genere e restituire il giusto valore delle cose”.

L’uso del genere nelle parole è determinante?

“Certo, perché l’identità passa attraverso il riconoscimento dell’altro. Se scegliamo di usare ruoli professionali o cariche istituzionali declinati al maschile, stiamo affermando che la donna non ha raggiunto quel traguardo per merito e impegno, ma è lì al posto di un uomo”.

Parlando di Filippo Turetta, la sorella di Giulia ha detto: ‘Non chiamatelo mostro, è figlio della cultura dello stupro’

“La società è fatta di persone: c’è una responsabilità individuale e una responsabilità collettiva. L’intera società è incolta quando fa passare alle donne il messaggio: “Tu non stai al tuo posto”. Molto lavoro è stato fatto sui messaggi che vengono fatti passare alle donne, ma non bisogna mai mollare. Sono stupita dalle parole della sorella, fanno pensare che in quella storia i segnali preoccupanti ci fossero già tutti. Non è un caso nato in un contesto di profondo disagio, è successo altro. L’eccesso di vicinanza, a volte, non ci permette di vedere i segnali”.

Quale responsabilità hanno i media oggi nel raccontare?

“I giornalisti sono lo specchio della società, non concordo con chi si scaglia contro i media. I giornalisti hanno la responsabilità di raccontare facendo i conti con grossi limiti: come la tempistica stringente con cui pubblicare e lo spazio per i titoli fatto di poche parole. A volte si usano ‘luoghi comuni’ perché è un modo per fare capire a tutti ciò che è accaduto. Detto questo, ci vuole attenzione e consapevolezza delle parole”.

Come fare?

“La rete GiULiA è nata per dare una scossa sui temi che riguardano le donne. Abbiamo fatto un grande lavoro sul linguaggio nei media. Nel 2017 è stato pubblicato il ‘Manifesto di Venezia’ per il rispetto e la parità di genere nell’informazione. È un decalogo su quali termini scegliere: è un impegno su base volontaria di tanti giornalisti e giornaliste. Abbiamo scelto di mettere i nomi di chi ha sottoscritto il manifesto, proprio per ribadire il senso della responsabilità. Il linguaggio è l’unico strumento che abbiamo per cambiare e lo abbiamo detto anche nel libretto ‘Stop alla violenza – Le parole per dirlo’”. 

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