Roma, 4 giugno 2019 - "Il piano industriale elaborato dalla società e allegato all’offerta finale, veniva vagliato dai commissari straordinari, dagli advisor della procedura di amministrazione straordinaria, dal comitato di sorveglianza della medesima procedura e dal Mise e da questi ritenuto serio e sostenibile". Nella richiesta di concordato, presentata al tribunale di Milano l’11 aprile e poi respinta, Valerio Rigoni – l’uomo del fallimento – con due aggettivi chiama in causa il sistema che lo ha promosso. Quel sistema politico e tecnico che meno di un anno fa – vendita con patto di riservato dominio – gli ha messo in mano Mercatone Uno, che era in amministrazione straordinaria da tre anni. Gruppo trascinato nel baratro finale dal crac della Shernon holding – controllata fino a febbraio da una società maltese –, costituita da Rigoni a dicembre 2017 proprio per partecipare alla gara ministeriale a trattativa privata, autorizzata dal ministro Carlo Calenda. Era una fuoriclasse un po’ ammaccata quell’Ikea italiana nata 41 anni fa nella terra rossa, a Toscanella di Dozza, tra Emilia e Romagna. Per Rigoni, già fornitore del gruppo, rappresentava il colpo grosso.
E mentre la procura di Milano ha aperto un’inchiesta per bancarotta fraudolenta (al momento senza indagati), resta da capire come Shernon sia arrivata in neanche 9 mesi a maturare un debito "per oltre 90 milioni", nell’"assenza di credito bancario sin da novembre/dicembre 2018" e "totale assenza di fiducia dei fornitori", come elenca impietosamente la sentenza di fallimento del 24 maggio. Ma soprattutto com’è possibile che di colpo, via WhatsApp, 1.860 lavoratori in tutta Italia si siano trovati senza lavoro, con i negozi chiusi dalla sera alla mattina? Per la burocrazia sono dipendenti sospesi di una società fallita, "ma intanto dobbiamo chiedere prestiti ai genitori e ai nonni, siamo prigionieri senza un centesimo", traduce nel linguaggio crudo della realtà un cinquantenne fuori dal palazzo della direzione a Imola, fortino assediato. Difficile consolarsi con quel "rimani positivo", come si raccomandava il capo il 14 maggio scrivendo via mail ai dipendenti. Pochi giorni dopo, il patatrac.
Rigoni – 59 anni, nato in Svizzera e residente nel Vicentino, un fallimento nel 2014 con la società Ctf Italia – si presenta al Mise con un capitale sociale di un milione e un socio, Michael Charles Thalmann, cittadino elvetico, imprenditore finanziario nel Liechtenstein. Nel cda siedono anche tre italiani. Quando acquisisce Mercatone – il rogito è del 9 agosto 2018 – socio unico della Shernon è la Star Alliance di Ta’ Xbiex a Malta, nata nel 2002. Ma il 14 febbraio rientra tutto in Italia con la Maiora Invest - srl costituita a Padova con un capitale sociale di appena 10mila euro -, "su suggerimento dei nostri advisor", sostiene Rigoni. Che a marzo resta amministratore unico della Shernon. Le dimissioni dalle società sono un’altra costante di questa tormentata storia. Come i colpi di scena. Il contratto preliminare per l’acquisto di Mercatone viene firmato il 1° giugno 2018. Il 29 viene sottoscritto l’accordo con Cgil, Cisl e Uil. Il rogito è fissato per il 1° agosto. Ma il 25 luglio ci ripensa il fondo americano che avrebbe dovuto garantire un investimento milionario. Così si sposta tutto al 9 agosto, per cercare in extremis una soluzione alternativa.
L'affare va in porto con un altro fondo Usa, Gordon Brothers, che con un forte sconto acquista per 10 milioni il magazzino. Solo che la società da alleata si trasforma in concorrente interno, finiscono sugli scaffali a prezzi molto più bassi gli stessi prodotti venduti da Mercatone Uno. I nuovi investitori promessi – ora dalla Spagna – restano un miraggio. Il tribunale accorcia i tempi del fallimento. Rigoni accusa: "Sono stato tradito". Inutile ricordargli che provano lo stesso sentimento 1.860 lavoratori, centinaia di fornitori, migliaia di clienti. E finiscono sotto attacco i commissari straordinari Vincenzo Tassinari – professore universitario a Bologna, una vita alla guida di Coop Italia –, Ermanno Sgaravato e Stefano Coen. L’associazione fornitori di Bassano del Grappa polemizza anche sui compensi. Sette milioni, era trapelato. I professionisti fanno sapere di non aver percepito nulla, per ora. Deciderà il ministero. Si prova a riaprire una nuova procedura (con altri protagonisti?). In tutto questo, che ne è della società di Ta’ Xbiex? "La StarAlliance è stata messa in liquidazione, il direttore maltese si è dimesso", informa Rigoni.