Martedì 24 Dicembre 2024
LEO TURRINI
Cronaca

Fabio Capello e l’amore: “Mi sono dimesso una volta, non potevo stare lontano da mia moglie”

“Nel 1973 indimenticabile Wembley, segnai per 20mila camerieri italiani”

Fabio Capello, 78 anni, e sua moglie Laura Ghisi, in uno scatto di qualche anno fa

Fabio Capello, 78 anni, e sua moglie Laura Ghisi, in uno scatto di qualche anno fa

Milano, 18 novembre 2024 -​​​​​​ “Nella mia carriera di allenatore ho dato le dimissioni una volta sola. Ma non per mancanza di risultati. L’ho fatto per amore di una donna. Mia moglie…”.

Fabio Capello ha contribuito alla storia migliore del calcio italiano. Prima come giocatore e poi come tecnico. Milan, Roma, Juve. L’Inghilterra lo volle come ct, la Russia di Putin pure. Oggi, a 78 anni, racconta il pallone dagli studi di Sky. Ci siamo incontrati a Viareggio per un premio, grazie ad Andrea Biagiotti e ad Alessandro Bonan.

Cosa c’entra la moglie con le uniche dimissioni nel curriculum?

“Adesso le spiego. Ho conosciuto Laura quando ero un ragazzo. Dal Friuli ero arrivato a Ferrara, mi aveva acquistato la Spal. Ero timidissimo, parlavo poco, mi sentivo un furlan in esilio. Poi ho incontrato lei, emiliana di San Giovanni in Persiceto…”.

E tutto il resto è vita, avrebbe detto Maurizio Costanzo.

“Appunto. Mai senza di lei. Che si è sacrificata molto: un giocatore come un mister ha sempre la valigia in mano. Ho perso il conto dei traslochi che le ho inflitto”.

Tranne uno.

“Bravo, tranne uno. Ad un certo punto mi hanno chiamato in Cina, ad allenare la squadra del Suning, il gruppo che all’epoca in Italia controllava l’Inter. Mia moglie non poteva seguirmi, la Cina mica è dietro l’angolo”.

Capisco.

“E anche io ho capito. Ho capito che non potevo stare senza di lei. Ci sentivamo al telefono tutte le sere ma non era cosa. Così sono andato dai cinesi ad informarli”.

Di cosa?

“Che Fabio Capello si scusava tantissimo ma non poteva restare all’ombra della Grande Muraglia. Per una ragione sentimentale, emotiva. Loro hanno compreso e buona lì”.

In un certo senso galeotta fu la Spal, visto che vi siete conosciuti sessant’anni fa quando lei giocava a Ferrara.

“Ah, guardi, io la Spal me la porto nel cuore e ormai non devo più spiegare il motivo. Ero felice quando era tornata in A, adesso andiamo male pure in C e la cosa mi rattrista. Lei se li ricorda Bosdaves e Dell’Omododarme?”.

Roba da figurine Panini.

“Esatto! Erano miei compagni nella Spal”.

Rimpianti per il calcio che fu?

“Beh, è cambiato il mondo, ho giocato nella Roma, nella Juve e nel Milan ma guai a chi mi tocca la Spal”.

A proposito del Capello calciatore: la gioia più grande?

“Ha a che fare con ventimila camerieri”.

Prego?

“Mi faccia raccontare. A novembre del 1973 con l’Italia di Riva, Rivera e Facchetti vado a Wembley a sfidare l’Inghilterra…”.

Fin qui ci sono: fu una partita storica, mai gli azzurri avevano battuto i Maestri a casa loro.

“Invece noi ci riuscimmo. Vincemmo 1-0 con un mio gol nel finale. La mattina del match, un tabloid londinese aveva titolato: stasera ventimila camerieri allo stadio, irridendo i nostri connazionali che facevano i lavori più umili in Inghilterra. Alla fine della partita, andai a parlare con i giornalisti e dissi: ho segnato per l’onore di ventimila camerieri”.

Bello e patriottico. E la gioia più grande da mister?

“Il 4-0 rifilato con il mio Milan al Barcellona nella finale di Champions ad Atene nel 1994. Cruyff, il mitico olandese, allenava i catalani. Per un mese aveva dichiarato che per loro era una formalità, erano troppo superiori. Io mostrai una sua foto ai miei giocatori, spiegando che avevamo l’occasione di fargli cambiare idea”.

E finì appunto 4-0, per la gioia di Berlusconi.

“Io al Cavaliere debbo tantissimo. Quando comprò il Milan io ero già nel club. Silvio mi disse: Capello, lei deve studiare da manager in Fininvest, vedrà che quello che impara le servirà quando la metterò in panchina. Aveva ragione”.

Mai litigato con lui?

“No, però ci fu una volta che non mi diede retta. Nel 2006 ero tornato ad allenare il Real Madrid. In organico avevo Ronaldo, non il portoghese, il brasiliano che era stato all’Inter…”.

Il Fenomeno.

“Lui. Fantastico, ma non aveva più la testa da atleta, organizzava sempre feste con ballerine eccetera. Io convinsi i dirigenti del Real a venderlo perché sfasciava lo spogliatoio con le sue abitudini…”.

E cosa c’entra Berlusconi?

“Aspetti. Un giorno mi chiama Silvio e mi fa: Fabio, davvero vendi Ronaldo? E io: sì presidente ma per carità non lo compri, a me sta sempre a cuore il Milan, non faccia questo errore, non si metta in casa uno che pensa solo alle veline e allo champagne. Sa com’è finita?”

Lo immagino ma me lo dica lei.

“Berlusconi al telefono mi dà ragione, mi giura che seguirà il mio consiglio. Il giorno dopo apro il giornale e c’è un titolo a caratteri cubitali: Ronaldo è del Milan”.

Ma poi chi ha vinto?

“Io a Madrid senza il Fenomeno ho conquistato lo scudetto, invece il Milan l’ha perso…”.