Evasione-lampo. Catturato il killer del sottomarino

Il danese Peter Madsen deve scontare l’ergastolo: "Stuprò, uccise e fece a pezzi una giornalista"

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Sognava di raggiungere sia i fondali marini sia lo spazio, novello Piccard o concorrente di Musk, ma passerà il resto dei suoi giorni sulla terra fra le mura di un carcere. L’imprenditore Peter Madsen, 49 anni, conosciuto in patria come il "killer del sottomarino", da due anni era già nella cella di un penitenziario poco fuori la capitale danese, condannato a vita per l’omicidio di una giornalista che voleva intervistarlo; ieri ha tentato una disperata fuga, ma la sua libertà è durata due ore e poco più di un chilometro. Quando le forze speciali lo hanno circondato, si è seduto accanto a una siepe e non ha opposto resistenza. Personaggio stravagante, Madsen nella sua vita ha costruito tre sottomarini e ha fondato la Copenhagen Suborbitals.

Il 2008 è stato l’anno nel quale la sua fama si è consolidata: aveva costruito l’Uc3 Nautilus, 18 metri, all’epoca il sommergibile privato più grande al mondo, e il Museo della Tecnologia di Elsinore, la città di Amleto, gli aveva esposto l’Uc2 Kraka, lungo 12 metri. Con la Suborbitals era riuscito a convincere gli investitori a finanziare il progetto dei viaggi privati nello spazio e stava lavorando a una navetta. Fra alti e bassi, la sua attività era proseguita fino a quel maledetto 10 agosto 2017. Quella mattina Madsen decise di ricontattare la trentenne Kim Wall, giornalista freelance svedese, che gli aveva chiesto un’intervista.

Fissarono per lo stesso giorno al porto di Copenhagen dove si sarebbero imbarcati sul Nautilus. Ma qualcosa andò storto, probabilmente Madsen aggredì la donna e la stuprò, perse il controllo del sottomarino, che affondò; la donna sparì. L’inventore parlò di incidente, alla polizia raccontò che Kim era stata colpita dal portellone ed era poi affogata. In tv aveva più volte dichiarato che si era trattato di un tragico caso.

Un racconto che non convinse, soprattutto dopo che il 6 ottobre il corpo di Kim, mutilato, decapitato e chiuso in una busta di plastica, venne ripescato nella baia di Koge. Madsen finì a processo. In tribunale cominciò ad ammettere qualcosa: che aveva smembrato il corpo della donna, ma che non l’aveva uccisa. Però nel suo computer gli inquirenti trovarono filmati di donne assassinate e alcuni testimoni dichiararono di averlo visto eccitato di fronte a filmati di decapitazioni e di averlo visto praticare asfissia erotica. Il 6 aprile 2018 la sentenza: ergastolo per omicidio preterintenzionale, stupro e distruzione di cadavere. Madsen ricorse in appello continuando a dichiararsi innocente almeno per il delitto. Fino a quando in una telefonata dal carcere trasmessa in un documentario, lo scorso 9 settembre l’uomo dei sogni ha per la prima volta ammesso l’assassinio: "Quello che è successo ha un solo responsabile: sono io". La tentata fuga non ha cambiato il corso della sua vita come sperava. Addio per sempre fondali marini e Luna.