Sabato 21 Dicembre 2024
LEO
Cronaca

Era la Divina del tennis. Una vita in campo, con eleganza. Dalla lotta al cancro ai trionfi

Pioniera anti pregiudizi di genere, si è spenta a 89 anni. Superò il tumore nei primi anni ’70 "Fu Umberto Veronesi a farmi diventare testimonial per la prevenzione: la malattia era tabù".

di Leo

Turrini

"Ho vinto molte sfide nella mia vita, ma la vittoria cui rimango più legata l’ho ottenuta senza racchetta in mano…".

Lea Pericoli, spentasi a 89 anni, non è stata soltanto la prima regina del tennis italiano al femminile, l’ava sapiente di Francesca Schiavone, Flavia Pennetta, Jasmine Paolini, Sara Errani. Beninteso tutto questo resterà, il patrimonio agonistico di una donna che faceva sport al massimo livello in una epoca ancora segnata dal pregiudizio maschilista.

Ma c’è stato altro, c’è stato di più. Lea, che era una maestra di eleganza nell’anima e non esclusivamente nei pizzi che sfoggiava sul campo, ecco, dicevo, Lea fu una pioniera anche nella lotta contro un altro pregiudizio, meno volgare e, però, dolorosamente pericoloso.

Me lo raccontò in una intervista che le feci per questo giornale e che sono andato a recuperare avvertendo il brivido della commozione pura.

"Eravamo nei primi anni Settanta – mi spiegò, aiutandomi a ricostruire il contesto storico –. Giocavo ancora a tennis e di colpo fui costretta ad affrontare un nemico subdolo: il cancro…".

"In quei tempi di fronte al tumore la gente nascondeva la malattia, si citava il male oscuro, si preferiva non parlarne. Fu Umberto Veronesi, il grande medico, ad aiutarmi a comprendere che potevo trasformare quella esperienza in qualcosa di buono non solo per me stessa, ma per tutti…".

"Fu così che accettai il ruolo di testimonial in favore della prevenzione. Non mi misi in disparte, raccontai la mia storia, la mia situazione, comune a così tante persone. E dopo un po’ sono guarita, ho ricominciato a giocare, perché io ho sempre amato il tennis e ho amato la vita…".

Il tutto narrato da Lea con uno stile garbato, senza pretese, senza reclamare un ruolo, un riconoscimento, un applauso. E invece, con il senno di poi, che per lei fu, per fortuna nostra, senno del prima, sì, questa artista della racchetta merita la gratitudine collettiva.

I RECORD

Di fronte a una storia così, i numeri di una carriera esemplare non è che sbiadiscano. Semplicemente, si stagliano sullo sfondo.

Lea Pericoli ha conquistato ventisette titoli italiani. Era una icona e lo sapeva. Era una proto femminista, perché negli anni della sua giovinezza la donna che faceva sport era comunque una eccezione. Le cronache precisano che ha raggiunto gli ottavi al Roland Garros (1955, 1960, 1964 e 1971) e a Wimbledon (1965, 1967 e 1970).

Ha letteralmente egemonizzato il tennis italiano tra il 1959 e i 1976, è stata numero uno azzurra per 14 anni. Semifinalista agli Internazionali d’Italia nel 1967, in doppio faceva coppia con Silvana Lazzarino e nel doppio misto talvolta si divertiva insieme a Nicola Pietrangeli (che ieri in lacrime ha detto: "Ho perso una sorella").

IN TV

Chiusi in armadio gli abitini da gara (erano così audacemente eleganti che vennero persino esposti in un museo a Londra!), Lea Pericoli non perse l’abitudine a trasgredire, anticipare, stupire. È stata la prima donna telecronista di sport: raccontava il tennis, con rara competenza, su Telemontecarlo. E ne scriveva sulle colonne del Giornale, su espressa richiesta di Indro Montanelli.

Una vita, tante vite. Forse un grazie è troppo poco, davvero.