L’Italia appare un vero e proprio colabrodo digitale. La vulnerabilità dei nostri sistemi informatici, esposti costantemente a intrusioni e furti di dati, rappresenta una minaccia concreta non solo alla privacy dei cittadini ma anche alla stabilità delle nostre istituzioni democratiche. In un’epoca in cui lo spionaggio non richiede più uomini in trincea o microfoni nascosti nei corridoi, ma strumenti sofisticati che penetrano silenziosamente nei server pubblici e privati, è sempre più indispensabile trovare soluzioni per arginare una situazione che ha raggiunto livelli di guardia.
Negli ultimi anni i casi di dossieraggio e violazioni dei dati si sono moltiplicati. I nostri archivi digitali, un tempo considerati luoghi sicuri e sigillati, si sono trasformati in vere e proprie groviere, costantemente alla mercé di gruppi di hacker e di veri e propri centri di potere che, attraverso tecniche di spionaggio avanzato, riescono ad accedere a informazioni riservate per scopi tutt’altro che leciti. Non si tratta più di singoli episodi, ma di una rete diffusa di spionaggio digitale che può compromettere la sicurezza di interi settori, privati e pubblici, con possibili ripercussioni sulla tenuta democratica del Paese.
Qualche anno fa il ministro per l’Innovazione tecnologica e la transizione digitale del governo Draghi, Vittorio Colao, aveva già lanciato un grido d’allarme, denunciando quanto la sicurezza informatica in Italia fosse deficitaria. In quell’occasione si era discusso della necessità di un’azione decisa per proteggere i dati sensibili dei cittadini e i sistemi informatici delle istituzioni.
Nel frattempo, però, l’emergenza ha tristemente raggiunto proporzioni critiche. Dossier riservati, informazioni sensibili, e persino dati strategici di interesse nazionale sono alla portata di chiunque abbia gli strumenti e le competenze per forzare i nostri sistemi informatici. Queste informazioni, una volta acquisite, possono essere usate per finalità subdole e persino eversive, mettendo a rischio la sicurezza nazionale.
Per invertire la rotta è necessario, innanzitutto, potenziare i nostri sistemi di sicurezza con tecnologie all’avanguardia e con strategie di difesa che riescano a prevenire i crimini digitali ancor prima che questi si realizzino. Un investimento strutturale nella cybersicurezza, con risorse dedicate alla formazione e all’aggiornamento continuo degli operatori, è un passo imprescindibile per difendere i nostri dati.
È inoltre cruciale implementare una normativa chiara e rigorosa che preveda sanzioni severe per chiunque violi la sicurezza informatica dei dati pubblici e incentivi per le aziende che adottano protocolli di protezione avanzati.
Questi interventi devono essere accompagnati da un cambio di mentalità, che veda la cybersicurezza sullo stesso piano della sicurezza fisica del nostro territorio. Alla luce dei veleni delle ultime ore, appare infatti davvero auspicabile un patto tra tutte le forze politiche per rafforzare gli anticorpi democratici e impedire che la situazione sfugga completamente di mano.
*Docente di Diritto dell’informazione all’Università Cattolica di Milano