Firenze, 7 luglio 2024 – Dall’inizio dell’anno e fino al 5 luglio si sono suicidati in carcere 50 detenuti. Si tratta di un dato elevato rispetto allo stesso mese di luglio del 2023 e 2022 in cui si registrarono 34 (con un aumento di 16 decessi). Lo ha reso noto il Garante nazionale dei diritti delle persone private dalla libertà personale, evidenziando che 48 erano uomini e 2 donne. Riguardo alla nazionalità, 27 erano italiane e 23 straniere, provenienti da 15 diversi Paesi. Le fasce d’età più presenti, continua il report del Garante, sono quelle tra i 26 e i 39 anni (24 persone) e tra i 40 e i 55 anni (12 persone); le restanti si distribuiscono nelle classi 18-25 anni (6), 56-69 anni (7) e ultrasettantenni (1). L’età media è di circa 39 anni. Delle 50 persone che si sono tolte la vita in carcere, 20 erano state giudicate in via definitiva e condannate (40%), mentre 6 avevano una posizione cosiddetta “mista con definitivo”, cioè avevano almeno una condanna definitiva e altri procedimenti penali in corso; 19 persone (38 %) erano in attesa di primo giudizio, 2 ricorrenti, 2 appellanti e un internato provvisorio.
Nel 1986 la legge Gozzini introdusse norme dirette ad ampliare le opportunità di reinserimento sociale. Una legge che "fermò le rivolte nelle carceri", dice oggi il professor Giovanni Gozzini, figlio di Mario, autore della legge. "Fu approvata all’unanimità con l’eccezione del Movimento Sociale Italiano. In realtà, originariamente, il progetto di legge non era di mio babbo ma di Mino Martinazzoli, allora ministro di Grazia e Giustizia. Martinazzoli, che era più furbo di mio babbo e sapeva che la legge sarebbe andata incontro a qualche problematica, gli disse di presentarla come primo firmatario. Per questo fu intitolata a mio babbo e votata poi da un’ampia maggioranza parlamentare".
A quali problematiche si riferisce?
"C’era lo zero virgola per cento di detenuti responsabili di recidive. Ne bastava uno per dire sui giornali che la legge non funzionava, che non andava bene. Invece ha funzionato. Lo capii quando andai nel carcere di Pianosa, allora ancora un carcere di massima sicurezza. Era una situazione quasi idilliaca. C’erano 30 detenuti e 30 guardie. L’isola era bellissima, sembrava l’eden. Dissi a un giovane maresciallo: ‘Ma questo non è mica un carcere’. Lui rispose: ‘I detenuti di tutta Italia – all’epoca saranno stati 30-40mila – stanno buoni perché vogliono venire qui’".
Come il carcere di Gorgona oggi insomma.
"Sì. Persino Gianfranco Fini, che si era opposto alla legge e aveva promosso un referendum per l’abrogazione, cambiò idea dopo due-tre anni. Ricordo anche un dibattito televisivo, disse che la legge andava bene. Prima della legge ogni estate scoppiava una rivolta per il caldo. Poi finirono".
E i suicidi?
"Ce n’erano meno, anche perché c’erano meno immigrati in carcere. Per un detenuto italiano il reinserimento sociale è più semplice. Grazie alla legge il clima in carcere migliorò. Oggi è nuovamente peggiorato perché c’è un numero maggiore di immigrati, che hanno meno incentivi a comportarsi bene, perché hanno meno legami con la vita fuori dal carcere".
La legge andrebbe aggiornata?
"In realtà l’unica misura peggiorativa è stato il 41 bis, che esclude i criminali mafiosi dai benefici previsti dalla legge. Così com’è va bene. Anche perché quelli che recidivano approfittando dei permessi premio sono una ristrettissima minoranza. Mio babbo diceva sempre che per tanta gente i permessi premio erano l’applicazione dell’articolo 27 della Costituzione, che prevede la funzione rieducativa della pena. D’altronde siamo contro la pena capitale e l’esercizio della giustizia non è una vendetta, ma un modo per ristabilire le regole dello stare insieme".
Secondo lei servono più posti in carcere, come sostiene il governo?
"Negli Stati Uniti la popolazione carceraria è superiore alla nostra e hanno molte più carceri di noi. Le cose non vanno meglio. Piuttosto servirebbero nuove forme di pena e nuove tecnologie. Penso che servirebbero di più i lavori socialmente utili anziché costruire nuove carceri. Altrimenti il carcere diventa una scuola del crimine per i ragazzi più giovani. La pena deve essere afflittiva, ma deve essere intelligente".