Roma, 23 novembre 2024 – “Dall’audizione di Domenico Giani è emersa una clamorosa verità, esiste un fascicolo sulla scomparsa di Emanuela, noi lo cercavamo dal 2017 ma nessuno in Vaticano ha voluto collaborare con noi”. Con tre inchieste attualmente aperte, una alla Procura di Roma, una alla Procura vaticana e una straordinaria come quella che sta conducendo la Commissione di inchiesta bicamerale che si riunisce ogni giovedì a San Macuto, sul caso Orlandi 41 anni dopo, qualche ombra comincia a diradarsi. Era il 22 giugno 1983 quando Emanuela faceva perdere le tracce di sé in Corso Rinascimento, territorio italiano, terminata la consueta lezione di musica nella scuola di Sant’Apollinare. Il fratello Pietro sarebbe dovuto andare a prenderla. Invece cambiò idea ed Emanuela, dopo aver chiamato casa, prese a dirigersi sul corso in direzione della fermata dell’autobus finché non scomparve, inghiottita nel nulla.
È l’avvocata degli Orlandi, Laura Sgrò, a intravedere nella lunga audizione dell’ex Comandante della Gendarmeria vaticana di giovedì qualche spiraglio: “È emersa una incontrovertibile verità – afferma in una nota stilata a quattro mani con Pietro Orlandi –, il fascicolo che Giani definisce relativo a una “ricostruzione storica” è in realtà un’attività di indagine”. L’esistenza di un fascicolo è effettivamente emersa durante l’audizione. A detta dell’ex capo della Gendarmeria vaticana ed ex Guardia di finanza, in Vaticano dal 1999 per acquisire poi il comando dal 2006 al 2019, non si trattava però di una attività di indagine ma “informativa” per ricostruire il contesto di quegli anni, le persone, chi faceva cosa e perché. In questo ambito sarebbe rientrata anche la convocazione negli uffici della Gendarmeria, in Vaticano, di monsignor Valentino Miserachs Grau, maestro di canto della scuola di musica e oggi canonico di Santa Maria Maggiore. Audito il 3 ottobre scorso dalla Commissione bicamerale, aveva dichiarato di essere stato ascoltato nel 2012 da Giani e dall’ex assessore, monsignor Peter Brian Wells. Circostanza confermata da Giani ma oggi anche quella testimonianza è confluita nel fascicolo in mano alla Procura vaticana dove una inchiesta sulla scomparsa di Emanuela, per volere di papa Francesco, è stata affidata al promotore di giustizia, Alessandro Diddi: “Io non faccio più parte del Vaticano – ha spiegato l’ex Comandante –, dovete rivolgervi a loro per acquisirlo”.
Nelle tre ore faccia a faccia con deputati e senatori, Giani ha detto la sua verità anche sulla presunta trattativa con la Procura di Roma all’epoca della traslazione della tomba di Renatino de Pedis, boss della banda della Magliana la cui moglie ottenne una famigerata sepoltura nella basilica di Sant’Apollinare, grazie ai suoi ottimi rapporti con il cappellano delle carceri, don Pietro Vergari e l’ex vicario di Roma, il cardinal Poletti che ritenevano i De Pedis dei “benefattori” viste le ingenti donazioni alla chiesa. “Non solo non ci fu alcuna trattativa – ha chiarito Giani – ma al contrario, come capo di una polizia io aveva offerto alla Procura di Roma leale collaborazione proprio perché la volontà del Vaticano era di non ostacolare in alcun modo la traslazione di De Pedis e sgombrare quello stesso luogo sacro da ogni possibile equivoco”. “Capaldo mi ha chiamato emissario – si è anche tolto qualche sassolino – , un’offesa perchè io non sono emissario di nessuno, l’ho chiamato come capo di una polizia volendo collaborare con lui come in tante altre occasioni nella mia vita ho fatto con altri magistrati nell’ambito di attività di polizia giudiziaria. E poi, se vogliamo dirla tutta, forse era lui che voleva fare il risultato: nel secondo incontro in Vaticano tentò quasi di interrogarmi su che cosa sapessi sul caso della Orlandi. Ma io non sapevo nulla, non ho mai avuto alcun elemento in mano!”.