«Cosa faresti se fossi Maradona?» E’ la domanda che Diego Armando, il Pibe de Oro, rivolse, pochi giorni prima della sua morte, all’infermiere entrato nella sua stanza d’ospedale, insieme agli abiti per scappare a casa.
«La verità, Dieci, - fu la riposta che ricevette secondo quanto ha raccontato il più importante quotidiano argentino,Clarin - non vorrei essere nemmeno un secondo Maradona». «Lo stesso accade a me... Vorrei prendermi una vacanza dall’essere Maradona».
Chissà se, in questi dodici mesi, c’è riuscito. Sì, è già passato un anno da quando Diego Armando Maradona se n’è andato. Dodici mesi in cui, comunque, ha continuato ad esserci. Non fosse per le polemiche e le inchieste che sono seguite alla sua morte. E non poteva che essere così, perché in fondo el Pibe de Oro è sempre stato eccentrico, polemico, adulatore, contraddittorio, leggendario. Anche chi non è appassionato di calcio, non può non coinvolgersi di fronte ai momenti iconici della sua carriera. Come quando realizzò il “gol del secolo”, forzando tutte le regole della fisica. Suscita una grande emozione vederlo percorrere il campo guardando fisso la palla quasi incollata al piede, scartando uno, due, tre avversari, per poi passarla ad un compagno e domandarsi: ma quando l’aveva visto, se da tempo non alzava gli occhi?
Ma chi è stato davvero Diego Armando Maradona? Una leggenda del calcio, sicuramente. Il “divino”, il genio del pallone, il numero dieci più grande di tutti i tempi. Ma allo stesso tempo anche donnaiolo, cocainomane, truffatore, evasore, violento. Un calciatore e un uomo sopra le righe. Eccezionale, nel bene e nel male. «Era fuori dalla norma - riconoscono Liliana Dell’Osso, Dario Muti e Jole Scotto nel saggio “Mostri, seduttori e geni” (Alpes) -. Sempre al confine fra la genialità e la follia, tra l’insufficienza e l’iperdotazione, fra le vette del talento e l’abisso della perdizione. Come un eroe del mondo antico. Come un santo medievale. Come un genio rinascimentale. Tutti accomunati dall’eccezionalità, ma anche dall’altra faccia: l’inadeguatezza, la pochezza, la meschineria, la devianza, la riluttanza a seguire le regole più semplici del vivere civile».
Ma se non fosse stato così, non sarebbe mai stato Diego Armando Maradona. El Pibe de Oro, appunto. Secondo Dell’Osso, Muti e Scotto, quindi «Maradona incarna l’immagine infantile del calcio: esuberante, spontaneo e libero. E’ e resterà, un pibe, dalle capacità tecniche eccezionali (astuzia, improvvisazione, creatività individuale) e dalla vita caotica e disordinata». Facilmente assimilato, nell’immaginario popolare napoletano, allo scugnizzo, il ragazzo di strada, povero senza regole, dall’estro ambizioso e creativo, ma anche presuntuoso e incontenibile.
In altre parole «il Pibe aeternus, l’eroe bambino che si ritrova adulto senza essere cresciuto». Sì perché a ben guardare - è la conclusione della psichiatra, del filosofo e della psicologa che ne hanno analizzato i tratti neuroatipici,- «proprio il calcio ha permesso all’uomo Maradona di giocare e nello stesso tempo di restare bambino». Quei dribbling incredibili partivano dal cuore del monello, perché il Pibe de Oro era un genio infantile, consegnato ad una maturità che intimamente respingeva. Non è mai esistono un Maradona adulto. «L’adulto fuori dal campo - concludono Dell’Osso, Muti e Scotto - è stato solo l’ombra del ragazzo inarrestabile, del fanciullo divino, sublime, disionisiaco, capace di azioni magiche, di tiri mancini e di inconcepibili cadute». Alla fine, tra droga, alcol, doping, squalifiche e disintossicazioni, figli illegittimi, bypass gastrici e separazioni, Maradona ha fatto di tutto per gettare dal piedistallo l’idolo, non riuscendo neanche a scalfirlo. Anche se il Pibe di 60 anni, quando dodici mesi fa ha chiuso gli occhi, per sempre, aveva perso già da tempo l’aria infantile. Bruciato dall’incapacità di vivere. Salvo, poi, quell’ultimo colpo di tacco (e di genio), con quel desiderio profondo, espresso all’infermiere, di prendersi una vacanza dall’essere Maradona. Un numero uno. Anzi, il Dieci. Per sempre.