di Giovanni Rossi
Nella corsa al vaccino anti-Covid, la Russia fa tutto da sola e da sola si proclama vincitrice accorciando fasi e tempi dei test. Vladimir Putin annuncia al mondo registrazione, produzione (da settembre) e commercializzazione (da gennaio) del vaccino Sputnik V, battezzato – con autoplagio evocativo – come il primo satellite spedito in orbita attorno alla Terra, nel 1957, dal cosmodromo di Bajkonour. Un evento che lasciò l’Occidente assai sorpreso. Reazione analoga, in queste ore, con dubbi planetari rapidamente in orbita. Mosca reagisce con stizza. Gli interrogativi di Oms e comunità scientifica internazionale sono bollati come "attacchi mediatici coordinati e attentamente orchestrati". Respinte con sdegno anche le accuse di spionaggio ai laboratori occidentali. Una campagna per screditare l’ultima "conquista degli scienziati russi", realizzata partendo da un vaccino sperimentale contro la Mers, Sindrome respiratoria acuta medio-orientale (sempre originata da Coronavirus).
"Siamo i primi", gongola Putin presentando la soluzione anti-pandemica con studiato affondo mediatico nel quale arruola come cavia persino una delle figlie: "Ha avuto solo una leggera febbre dopo la seconda iniezione", nessun altro effetto collaterale, fa sapere il presidente con narrazione imperiale (e sito web in sette lingue). Le boccette della svolta, tappo rosso e tappo blu, come da bandiera nazionale sul bianco dell’etichetta stampata in cirillico, sono prima di tutto un distillato di orgoglio nazionale. Il sorpasso di Sputnik V ai danni dei sei candidati vaccini prossimi a terminare la sperimentazione – i tre cinesi (due di di Sinopharm, uno di Sinovac), quello britannico dello Jenner Institute con il concorso della laziale Irbm, quello dei tedeschi di Biontech e infine quello degli statunitensi di Moderna – determina un cambio di scenario anche sul piano finanziario e geopolitico. Kirill Dimitriev, a capo del Fondo russo investimenti, ragiona su numeri aggressivi. Una Russia pronta a mettere in campo il proprio posizionamento diplomatico, con un book di "pre-ordini da 20 Paesi" per un totale teorico di "un miliardo di dosi" è destinata a traguardi significativi e impatti di sistema. L’idea è distribuire 30 milioni di vaccini in patria e 200 nel mondo già nel 2021. Non a caso il Brasile fa subito balenare una partnership produttiva. Stessa ipotesi manifesta l’India. Per non parlare di Cuba, Messico, Arabia e Filippine. Si muove persino Israele con il ministro Yuli Edelstein ("se il prodotto è serio").
L’Oms consiglia a tutti cautela e a Mosca richiede "rigorosi esami", test e prove. Sennò niente approvazione. "Accelerare non dovrebbe significare compromettere la sicurezza", spiega il portavoce Tarik Jasarevic. "Il punto – ribatte il ministro della Sanità americano Alex Azar – è avere un vaccino sicuro per gli americani e per il mondo, non essere i primi". Duro Klaus Reinhardt, presidente dei medici tedeschi: "La registrazione di un vaccino senza la terza serie di test è un esperimento ad alto rischio". "Qualità farmaceutica" sempre indispensabile, è il monito di Berlino. Danny Altmann, immunologo all’Imperial College di Londra, lascia intuire la vera posta in palio: "Qualsiasi vaccino men che sicuro ed efficace potrebbe esarcerbare i nostri attuali problemi". E minare la fiducia di miliardi di persone.