di Alessandro Farruggia
Il buco dell’ozono si chiuderà attorno al 2066 (2049-2077) in Antartide e al 2045 sull’Artico, mentre alle latitudini tra 60 nord (Svezia-Finlandia-Nord del Canada, Alaska, buona parte della Siberia) e 60 sud (tutte le aree emerse dell’emisfero australe), ovvero dove vive la stragrande maggioranza della popolazione umana – latitudini dove il buco non c’è mai stato, ma si è comunque registrata una riduzione della concentrazione del’ozono stratosferico che ci protegge dai dannosi raggi ultravioletti del Sole – il ritorno a valori normali è atteso attorno al 2040.
A dirlo è il rapporto quadriennale coordinato dalle UnepWmo per conto dell’United Nations Environment Programme’s Ozone Secretariat. Il rapporto conferma che l’accordo del 1987 sulla messa al bando dei gas come i Cfc che avevano causato il buco dell`ozono sta funzionando alla grande. "Il fatto che il recupero dell’ozono sia sulla buona strada – ha dichiarato Meg Seki, segretario esecutivo del Segretariato per l’ozono del Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente – è una notizia fantastica. Negli ultimi 35 anni, il protocollo è diventato un vero campione per l’ambiente". Da notare che un ulteriore accordo del 2016, noto come Emendamento di Kigali al protocollo di Montreal, richiede infatti la riduzione graduale della produzione e del consumo anche di alcuni idrofluorocarburi (Hfc).
Gli Hfc non riducono direttamente l’ozono, ma sono potenti gas climalteranti. Secondo il rapporto, si stima che questo emendamento possa evitare un riscaldamento di 0,3-0,5°C entro il 2100.
Il fatto che prosegua la lenta ma sicura ripresa dello strato naturale di ozono non significa però che i progressi nella lotta ai cambiamenti climatici (causati dai gas serra, che sono diversi da quelli che distruggono l’ozono) stiano facendo lo stesso. Anzi. Le trattative sul clima segnano il passo. Il riscaldamento già registrato rispetto all’epoca preindustriale è di 1.2 gradi e l’obiettivo della conferenza di Parigi – contenere il riscaldamento in 2 gradi, tendendo possibilmente a 1.5° – è, specie il secondo, a forte rischio per la semplice ragione che i paesi prendono impegni indeguati, che oltretutto sono presi su base volontaria.
Come ha titolato l’Unep il suo report annuale sugli sforzi di mitaigazione delle emissioni, si fa "troppo poco e troppo lentamente". A politiche attuali il riscaldamento a fine secolo sarebbe di 2.8° e se le promesse di riduzione fossero concretizzate il riscalamento scenderebbe di 2.4°-2.6°. Decisamente troppo.
Del resto, le emissioni di gas serra continuano a crescere e così le temperature. Secondo i dati del Copernicus Climate Change Service dell’Unione Europea, il 2022 è stato il secondo anno più caldo in Europa e il quinto a livello globale. Secondo il rapporto l’estate è stata la più calda dal 1900 in Europa e la terza più calda su scala globale. Per l’intero anno, la temperatura media é stata di 0,3° superiore a quella del periodo 1991-2020 e di 1,2° superiore a quella del periodo 1850-1900, comunemente usato come riferimento dell’era preindustriale. E in Italia è andata anche peggio: il 2022 è destinato a diventare l’anno più caldo mai misurato. Nei primi undici mesi dell’anno la temperatura media rispetto al 1991-2021 è stata infatti di 0.98° e le temperature di dicembre sono in linea con la tendenza dei primi 11 mesi dell’ anno evidenziata dall’istituto per le Scienze dell’atmosfera del Cnr. Le temperature medie sono state particolarmente elevate nel Nord, con 1.28°. Bravo sul fronte ozono, il mondo deve darsi una mossa anche per la crisi climatica.