NEGLI ultimi giorni abbiamo spesso letto delle grandi multinazionali tecnologiche nelle prime pagine dei quotidiani. Ma non per un nuovo modello di smartphone, né per un nuovo servizio, bensì per vicende che hanno avuto luogo in aule giudiziarie. Apple contro FBI, Facebook contro il Quotidiano Nazionale. Due grandi fenomeni si possono leggere dietro questi eventi: la tecnologia che si fa diritto e la debolezza degli Stati nazionali. Il primo. La contrapposizione fra Nomos e Téchne è antica. Oggi la tecnologia è in grado di veicolare regole di contenuto giuridico: la scelta del livello di protezione dei dati, il grado di condivisione delle informazioni, le nuove firme elettroniche. Il codice, inteso come raccolta di norme (codice civile, codice penale, ecc.) si confonde con il codice (codice sorgente, codice eseguibile, ecc.) nel senso di software, di insieme di istruzioni che sta alla base dei programmi informatici. Come insegna Lessig, i due ‘codici’ possono diventare una cosa sola e la tecnologia può creare un sistema di regole parallelo. Ma si pone il grande problema del controllo sulla tecnica. Chi controlla la tecnica? Chi stabilisce gli obiettivi (se non addirittura i valori)? Ovviamente chi la crea (Apple e Facebook nei due casi citati), se non sono poste limitazioni. E qui veniamo al secondo punto. Il diritto nell’attuale forma affonda le sue radici nel modello ottocentesco: diritto nazionale per Stati nazionali.
MA L’ECONOMIA non è più prevalentemente nazionale. La globalizzazione economica ha la sua punta di emersione proprio su Internet, metaforico spazio che trascende le frontiere geografiche. Il diritto nazionale qui ha le armi spuntate. Certo, i giudici italiani pronunciano decisioni contro Google (basti pensare al diritto all’oblio) o contro Facebook (quella recentissima ottenuta proprio da questo giornale) ma renderle esecutive non è semplice. Gli strumenti giuridici ci sono, ma sono deboli. Il diritto nazionale non basta per risolvere i problemi ma un’alternativa non c’è ancora. Siamo in fase di diritto ‘liquido’, per dirla con Bauman. L’avvocato, lo scrivo con orgoglio, rivendica il suo ruolo e riesce con fatica a conquistare il risultato. Ma la crisi del diritto è innanzitutto crisi di sovranità.