Roma, 6 marzo 2025 – Si fa presto a dire “difesa comune europea“. E si fa presto a dire che sia solo questione di soldi. C’entra il fattore tempo, c’entra la politica, c’entra un sistema industriale frammentato. Ne è convinto Giuseppe Cossiga, ex sottosegretario alla Difesa, dal 2022 presidente di Aiad, federazione delle Aziende Italiane per l’Aerospazio, la Difesa e la Sicurezza.
Il dibattito sulla difesa comune europea suscita polemiche e preoccupazioni. Ma ‘difesa’ è sinonimo di ‘esercito’?
“Un esercito comune non è percorribile al momento. Quando si parla di difesa europea, possiamo paragonarci alla Nato, un’alleanza difensiva senza un esercito comune. Ma l’Europa è ancora in fase embrionale: il problema è se può operare concretamente in maniera coordinata su questo tema”.
Quindi il tema è politico…

“L’industria della difesa è abituata a lavorare con i governi. Ci sono decine di programmi di cooperazione Ue. Quando c’è volontà politica, un accordo si trova sempre”.
Appunto, la volontà politica. Ma la Ue è eterogenea, come si conciliano priorità diverse?
“È ovvio che l’Estonia si sente un po’ sotto pressione e magari il Portogallo meno. Su 32 Paesi Nato, 23 sono membri Ue. Non ha senso duplicare cose che fa già la Nato, l’Ue dovrebbe avere a disposizione strumenti che la Nato non ha”.
Quindi che cosa può fare l’Europa concretamente?
“Può dire “finanzio l’acquisto degli armamenti“, “tolgo l’Iva“, “faccio un accordo per cui le aziende del Regno Unito sono trattate come quelle europee“. L’Europa in realtà è complementare alla Nato. Certe cose non può che farle l’Ue, siamo consapevoli che gli Stati da soli non ce la fanno. Il problema, piuttosto, è come è organizzata”.
E per quanto riguarda i rapporti con la Nato e gli Usa? Trump chiede di alzare dal 2% al 5% del Pil la spesa per la difesa.
“Numeri impensabili. Gli americani vogliono far credere che la loro spesa militare sia dovuta al fatto che pagano per un’Europa che spende in sanità e welfare. Gli Usa casomai hanno un impero che l’Europa non ha né vuole avere”.
Però proprio sul tema spesa ci sono le maggiori resistenze. Appunto: spendere in difesa tagliando welfare e sanità?
“Il dibattito in Italia è legato a motivazioni storiche, sociali e culturali. La Chiesa cattolica ha una ricca tradizione in un senso o nell’altro, dalla guerra giusta di San Tommaso al pacifismo. E poi una cultura di sinistra estremamente evoluta: c’era il Partito comunista più importante d’Europa. Nel tempo, inoltre, c’è stata una specie di tacito accordo: la politica diceva “io non mi occupo di difesa, tanto c’è la Nato”. Ora che le cose sono più complicate, l’assenza di dibattito si vede. Evidentemente è anche colpa di noi addetti ai lavori, dovremmo spiegare meglio che non si tolgono soldi ad altri settori”.
Dato che parliamo di soldi, ma da dove li prende l’Europa?
“La difesa non è nei trattati, è competenza degli Stati. Magari la Ue può decidere che i sostegni alle industrie europee non sono aiuti di Stato. Ma l’unico modo che ha di maneggiare danaro è contrarre debito. Altrimenti siamo alle “raccomandazioni“, che in italiano si chiamano chiacchiere... In alternativa si aumentanole tasse, ma nessun governo vuole farlo”.
Com’è lo stato dell’arte dell’industria della difesa?
“La Ue spende 350 miliardi all’anno per la difesa. Ma più della metà per comprare dagli Usa. Che succederà a breve, quando dovremmo aumentare la spesa? Le aziende tentano di ottimizzare, ma certi processi richiedono tempo”.
Però intanto Trump dice che non difenderà più l’Europa...
“Sì, ma avrà anche rassicurato le industrie Usa che tanto poi saranno gli europei a comprare quello che non compra più lui... Ecco, questo lo dovremmo evitare”.
Attualmente che cosa è in grado di produrre l’Europa?
“Abbiamo sostanzialmente tutto e di qualità pari, se non superiore, a quella americana”.
La qualità. Ma la quantità?
“Non siamo ancora in grado perché troppo spezzettati: di sistemi antierei a breve gittata ce ne sono inutilmente 4-5 anziché uno solo. Ci sonoproblemi su nicchie economicamente meno attraenti. E siamo indietro su asset necessari nella guerra moderna: satelliti di osservazione, velivoli da rifornimento in volo, radar”.
E l’Italia?
“È uno dei tre Paesi Ue in grado di competere, con Francia e Germania. La nostra industria dimostra di saper lavorare bene in cooperazione. E c’è un colosso come Leonardo che di fatto controlla tutte le capacità italiane nel campo”.