Leno (Brescia), 15 febbraio 2024 – La sua è una battaglia senza fine. Maurizio Piovanelli ha 63 anni. Con la famiglia abita ancora a Leno, in un’altra casa. Sua figlia Desirée ne ha 14 quando sparisce il 28 settembre 2002. È bella, radiosamente bella, primo anno di liceo scientifico al Pascal di Manerbio. Esce di casa alle 14.30, dopo aver detto alla mamma che andrà da Marika, un’amica. Desy, straziata dalle coltellate, viene ritrovata sei giorni dopo nella cascina Ermengarda, un casale fatiscente a duecento metri dall’abitazione dei Piovanelli. Trucidata da quello che i giornali definiscono il "branco" di Leno, tre ragazzini e un adulto. Una convinzione non ha mai abbandonato il padre di Desirée: che la morte della figlia non sia stato l’epilogo cruento di una tentata violenza sessuale ma di un sequestro finito male, organizzato da una rete di pedofili annidata nella Bassa bresciana, con un mandante, un regista occulto.
Maurizio Piovanelli, l’inchiesta bis è stata archiviata.
"Andrò avanti. Finché potrò andrò avanti. Vedrò cosa fare. Deciderò col mio avvocato. Non ha senso fermarsi adesso dopo vent’anni che stiamo tribolando. Spero che qualcuno del paese mi aiuti, che parli. La voce sul giro di pedofilia, in questi anni, non ha mai smesso di circolare".
I tre minori hanno scontato le condanne e sono liberi da tempo. Giovanni Erra, l’unico adulto del gruppo, potrebbe riacquistare la libertà nel 2025. Un giorno potrebbe vederlo, imbattersi in lui a Leno.
"Non so come vivrà da uomo libero. Se la vedrà lui. Se lo incontrerò, per me non sarà un problema. Semmai, lo sarà per lui".
Come sono stati questi ventidue anni?
"Tremendi. Un’agonia continua. Li abbiamo vissuti portandoci dietro la convinzione che la verità completa non era venuta a galla e che per farla emergere non era stato fatto tutto quello che si sarebbe dovuto fare al tempo".
Sul giubbino di Desy è rimasto un Dna mai attribuito.
"Non è mai stato analizzato, non è mai stato messo a confronto con quello di certe persone. Perché? È ancora disponibile. Quando si fa una indagine bisogna andare fino in fondo e non fermarsi alle confessioni delle persone coinvolte".
E poi c’è la questione delle due telefonate fatte da uno dei tre minorenni.
"Per me quelle telefonate sono molto importanti. Una prima e una dopo il delitto. Per quello che so, il ragazzo parlava con un adulto. La chiamata dopo l’omicidio dura quasi un minuto. È molto. Come se il ragazzo avesse dovuto raccontare, riferire qualcosa. Perché non è stato verificato a chi era indirizzata la chiamata e cosa si sono detti? Forse sarebbe potuto saltare fuori il mandante".
Cos’altro non la persuade?
"Il giorno dopo vanno per fare sparire il corpo. Non ci riescono. È una circostanza di cui quasi mai si parla. Continuo a pensare che ad aiutarli ci fosse qualche adulto. C’è il particolare del sacco nero. Il coltello, le fascette autobloccanti per legarla hanno la loro spiegazione. Il sacco nero è venuto dopo, quando si trattava di prendere il corpo. È una deduzione logica. E poi mi chiedo un’altra cosa. Desy svanisce il pomeriggio di sabato. Il giorno dopo, domenica, era già scattato l’allarme, le ricerche erano iniziate. Eppure, con tutte le persone che giravano per Leno, quelli hanno potuto andare alla cascina senza che nessuno li notasse".
Pensa a chi l’ha privata di una figlia?
"Inevitabile. Soprattutto penso che potrebbero iniziare a dire tutta la verità ma credo anche che questo non accadrà mai. Perché dovrebbero andare a cercarsi altri guai?".
Dei tre c’è chi ha famiglia, uno è padre. Cosa potrebbero dire, un giorno, ai loro figli?
"Niente. A mio parere non diranno proprio niente. Ritengono di avere pagato. Ai loro occhi sono a posto".
Il primo ricordo, la prima immagine che le si affaccia di Desirée.
"Il suo sorriso, era sempre sorridente. Il suo modo di fare gentile".
Che persona sarebbe se avesse potuto vivere?
"Oggi sarebbe sposata, avrebbe la sua famiglia, dei figli. Era un suo desiderio quello di avere una famiglia numerosa".