Roma, 26 ottobre 2018 - A Ostia , quando era assessore alla Legalità di Roma, ha davvero mandato le ruspe a demolire gli stabilimenti abusivi, scatenando l’inferno. "Ho toccato interessi molto forti, così a volte giravo armato". Il magistrato Alfonso Sabella, ora al Tribunale di Napoli, conosce bene gli equilibri impossibili dell’emergenza sgomberi e delle ‘terre di nessuno’.
Perché è così difficile intervenire nelle ‘zone franche’ delle città? "Dietro il degrado ci sono interessi che fanno capo a questa o a quella parte politica. Se sgomberi un edificio occupato dall’estrema sinistra, ti applaude l’estrema destra. Se, per esempio, fai uscire Casapound, ti applaude la sinistra ma ti contrasta la destra".
Quali poteri si scatenano contro chi usa il pugno di ferro? "Movimenti per la casa, associazioni più o meno riconosciute con vertici potenti. Sono lobby pecorecce, non certo l’alta finanza o poteri forti. Ma fanno perdere consensi elettorali. È un racket quello delle occupazioni – si paga per stare abusivamente in un edificio e si creano nuovi schiavi –: gli occupanti sono minacciati da chi gestisce servizi di accoglienza".
Dopo gli slogan elettorali, manca la volontà politica di ripulire davvero le città? "Certo che manca. Io sono riuscito a fare cose, anche impopolari, ripristinando ordine e legalità a Roma perché avevo la certezza che non sarei andato a chiedere il voto una volta finito il mio mandato. La politica deve avere il coraggio di fare scelte impopolari".
Per esempio? "Se la maggioranza ora vuole usare le ruspe, va bene, ma non basta. Deve pensare a dove vanno a finire le persone sgomberate e dare un’alternativa a tutti. Siamo in una società civile non possiamo pensare a soluzioni come la pulizia etnica o l’abbattimento di determinati soggetti".
Quale la ricetta per eliminare gli spazi urbani sospesi dalle regole giudiziarie? "Coinvolgendo le parti in causa: forze dell’ordine, magistratura, assistenti sociali, dipartimento della Casa, Asl. Serve una programmazione, non si può agire d’impulso perché c’è una difficoltà della politica a muoversi. Le zone franche e le piazze di spaccio vanno affrontate istituzionalmente, sganciandole dalla politica. La burocrazia – l’amministrazione in sé, apolitica – deve muoversi in quella direzione. Ma i soldi dell’amministrazione per queste operazioni arrivano dalla politica nella legge di bilancio: è un gatto che si morde la coda".
Le ruspe, che la maggior parte dei cittadini vorrebbe, e i presidi sono una soluzione? "A San Lorenzo, zona di spaccio, sicuramente sì. Ma per quanto tempo si può presidiare un edificio? Parliamoci chiaro, non si può pretendere eroismo dalle forze dell’ordine: non ce la fanno. Non abbiamo strumenti e strutture per militarizzare l’intera penisola. Questo è un metodo che funziona nell’immediato, ma i costi non sono sostenibili. Chi va a fare i controlli nei campi rom? La volante con tre poveri cristi? Chi si avventura in un territorio fuori controllo senza adeguata copertura alle spalle?".
Marco Cardilli, delegato alla Sicurezza di Roma, ha spiegato che "servono almeno altri mille poliziotti sul territorio a Roma". "Giusto. E manca anche un coordinamento tra soggetti deputati a ordine e sicurezza pubblica. Perché non c’è un piano ferie concordato tra polizia, carabinieri, vigili urbani, guardia di finanza? È indispensabile, serve una quota minima di personale in servizio in certi momenti dell’anno".
Dare più poteri ai sindaci può portare a maggiore sicurezza? "Sicuramente devono essere coinvolto direttamente nel sistema sicurezza".
Vedere Roma bella, pulita e ordinata sarà mai possibile? "Ci vuole programmazione, ciò che manca da sempre. A Roma conoscono solo un modo di lavorare: l’emergenza".
Quale la città modello "Milano e Torino nel sociale hanno ottenuto ottimi risultati mettendo al centro il cittadino".
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