“Siamo
ancora impantanati nell’emergenza dei femminicidi: è una questione culturale, legata all’educazione delle famiglie. I giovani che uccidono le fidanzate sono cresciuti in un ambiente violento, in cui la donna non è stata mai rispettata". Lo psichiatra Paolo Crepet analizza lucidamente i nuovi terribili casi di cronaca nera.Gli uomini che uccidono le donne che educazione hanno avuto?
"Dietro a ogni assassino c’è spesso una donna, sua madre. Un uomo che disprezza le donne è stato mal educato nella relazione con l’altro sesso dalla propria famiglia. Il contesto di provenienza è quello in cui si crede che se la donna viene trattata male, è giusto. Non si comincia a essere assassini il giorno in cui si compie il delitto, qualcosa c’è già dietro. Sono certo che se avessi modo di parlare con le ex di un giovane killer, troverei spunti di aggressività in tante altre storie".
Quali sono i segnali da tenere d’occhio?
"Innanzi tutto l’aggressività verbale, poi quella fisica. Bisogna cominciare a non tollerare la violenza delle parole. Quando il fidanzato dice: ‘se mi tradisci, ti ammazzo’, ecco, suona il primo campanello d’allarme. Se la compagna lo giustifica, sta percorrendo la via dei guai".
La cultura dei femminicidi non accenna a sparire. Come si inverte la tendenza?
"Eliminando la violenza nelle case. Poi parlando alle ragazze, alle giovani donne. Educhiamole a diffidare dei bulli, degli uomini che non sono in grado di rispettarle, di quelli che vogliono tutto. La violenza va vista anche in pizzeria, con gli amici, nella quotidianità, perché c’è".
La pm del caso di Senago ha fatto un appello alle donne: “Non andate mai all’incontro chiarificatore”.
"Certo: mai cadere nella trappola, mai andare da sole. Ma a quel punto non bisogna arrivarci, perché siamo già oltre. Questi maschi abbruttiti, medievali, vanno fermati prima. Serve una prevenzione primaria: non sopportare un minuto di violenza. Togliamoci dalla testa l’idea che l’amore è litigarello: è una bugia detta dalle madri in una società patriarcale. La violenza viene fomentata da questo fuoco e le ragazze devono allontanarsi dagli uomini pericolosi".
Lei ha mai parlato con un killer entrando nella sua mente?
"Un mio paziente fantasticava di uccidere una donna. Nella sua testa c’erano frustrazione e impotenza. Bisogna smontare il cliché che l’uomo forte è quello che non deve chiedere mai, il cacciatore. Quella è impotenza. L’uomo che sa piangere è fortissimo, l’uomo che legge poesie è formidabile, l’uomo che ammette di avere paura è coraggioso. Il tratto distintivo degli assassini è l’indifferenza, l’essere impassibili davanti all’orrore, il non provare emozioni, l’assenza di empatia. Sono lo zero assoluto dal punto di vista emotivo: il problema non è il narcisismo, ma l’indifferenza".
Come mai sempre più spesso ci sono persone che creano castelli di bugie, dalle amanti agli esami universitari, e a un certo punto esplodono scaricando la furia omicida su altri o su se stessi?
"Perché molti cercano di manipolare gli altri. Facciamo attenzione: queste non sono bugie, ma un modo costante di controllare l’altro. Tutto comincia da bambini, poi i guai peggiorano e la situazione degenera".
Come facciamo a cambiare questi uomini?
"Educhiamo e salviamo le donne, credo che loro possano cambiare gli uomini. Come sta succedendo, molto lentamente".