Tel Aviv, 30 dicembre 2024 – Nuovi fermenti sono avvertiti in Iran, all’indomani delle brucianti sconfitte patite dai suoi alleati in Libano (con lo smantellamento da parte di Israele dei vertici degli Hezbollah) e in Siria, con lo sfacelo del regime di Bashar Assad sotto la spinta delle milizie islamiche sunnite di Ahmed al-Shara (Abu Mohammad al-Julani). Mentre la leadership cerca di rielaborare la politica regionale e di calibrare quella interna, nuovi umori sono segnalati nella popolazione. È un momento di frattura, di transizione, in cui è ancora più rischioso venire coinvolti nelle logiche interne del regime, così come conferma il caso di Cecilia Sala. E anche l’intestazione di una strada a Teheran (la via Behistun) diventa adesso fonte di polemiche dopo che il municipio aveva deciso di dedicarla alla memoria del leader di Hamas a Gaza, Yahia Sinwar. I custodi del retaggio culturale persiano sono insorti perché Behistun è una località riconosciuta dall’Unesco come patrimonio culturale. E perfino la figlia del mitico generale Qasem Suleimani è insorta per difendere il nome originale della strada, che in definitiva non è stato cambiato.
L’episodio, secondo analisti, riflette umori di sfida all’establishment religioso del Paese, e la retromarcia del municipio non sarebbe casuale. Le autorità comprendono che in questa fase occorre procedere con cautela. Anche per non tornare al traumatico 2022 quando la vicenda di Mahsa Amini – la giovane morta in carcere dopo essere stata arrestata dalla polizia morale per non aver indossato correttamente il Hijab, il velo tradizionale – portò per mesi nelle strade folle di dimostranti. Centinaia di persone morirono allora nella repressione delle manifestazioni.
In questi tempi la situazione economica dell’Iran è drammatica, e rischia di innescare altre espressioni di malcontento.
Scuole e uffici pubblici sono stati chiusi per mancanza di carburante. La svalutazione della moneta locale (820.500 rial per un solo dollaro) accresce l’angoscia nei ceti inferiori. E con essa aumentano le critiche ai vertici militari che per anni hanno investito in Libano e in Siria decine di miliardi di dollari per sostenere le forze alleate. Quei fondi – ha ammesso lo stesso presidente riformista Masoud Pezeshkian – sarebbero stati utili a sostenere lo sviluppo del Paese. Oggi più che mai, a suo parere, Teheran deve sforzarsi di rimuovere le sanzioni economiche imposte dagli Usa, magari attraverso intese con l’Amministrazione di Donald Trump.
Nel frattempo Pezeshkian manda segnali di distensione all’opinione pubblica interna. In questi giorni ha espresso riserve circa una nuova legge relativa a pene più dure – fra cui multe e detenzioni prolungate – che andrebbero inflitte alle donne che rifiutano di indossare il Hijab. La legge stava per essere inoltrata dal Parlamento al governo, ma è stata bloccata. “Non è possibile applicarla al momento”, è stato spiegato. Sempre nella stessa lunghezza d’onda del pensiero di Pezeshkian è stato revocato in questi giorni il divieto sull’uso di Whatsapp e di GooglePlay, anche se restano limitazioni relative ad altri social media come Facebook, Telegram, Instagram e X.
Tuttavia l’establishment di sicurezza è preoccupato che il deterrente militare sia stato compromesso in questi mesi, anche in seguito a due attacchi condotti in Iran da Israele. “L’anno 2025 – ha anticipato il ministro degli Esteri Abbas Araqchi – sarà importante per quanto concerne la questione nucleare dell’Iran”. Se Assad avesse avuto un potenziale nucleare – hanno osservato analisti in Iran – il suo regime non sarebbe stato abbattuto. Ancora una volta in Iran le forze ‘repubblicane’ (presidente e parlamento, che riflettono tendenze popolari) si confrontano con la gerarchia militare e religiosa, che fa direttamente capo a Khamenei.