Lunedì 23 Dicembre 2024
RITA BARTOLOMEI
Cronaca

Il medico Damiano Cantone scampato al disastro aereo. "L'Africa mi ha salvato la vita"

Era alla sua prima missione. "Appena guarito ci tornerò"

Cantone all'ospedale di Nairobi tra la mamma e il direttore del Cuamm

Bologna, 21 ottobre 2018 - La sua prima volta in Africa: andava per curare gli altri, invece le hanno salvato la vita. L’aereo è precipitato in un lago. Venti morti, lei scampato con un uomo e una bimba. Soccorso e tornato a casa. Miracolato.

"Molto molto fortunato, io preferisco dire così. Forse perché non sono credente. Appena mi sarò rimesso tornerò là. Come mi sento? Un po’ acciaccato". Damiano Cantone, 32 anni, medico specializzando di Catania, sta curando i postumi delle fratture a bacino, colonna, polso, costole. Parla dal letto di casa, la voce a tratti è debole. Ancora non riesce a camminare ma pensa già a ripartire. Dalla Sicilia al Sud Sudan con il Cuamm, "la prima organizzazione italiana che si spende per la promozione e la tutela della salute delle popolazioni africane", come spiega il sito.

Era il 9 settembre, era diretto all’ospedale di Yirol. Che cosa ricorda dello schianto?

"Eravamo quasi arrivati, il volo da Juba dura meno di un’ora. L’aereo è sceso di quota, abbiamo superato un banco di nuvole. Fin lì tutto bene. Poi c’è stata una manovra un po’ esagerata, ci siamo allarmati tutti. Eravamo quasi a livello dell’acqua. Da lì è il blackout".

Da dove ripartono i suoi ricordi?

"Dal lago. Cercavo di nuotare con le braccia, le gambe mi facevano male, mi sono reso conto subito di essere ferito. Chiedevo aiuto, disperatamente. Avevo individuato una canoa a cento metri con tre giovani pescatori".

Loro l’hanno sentita.

"Stavano già remando verso di me, testimoni dello schianto. Hanno salvato anche la bambina. Il terzo superstite ha detto di avermi visto uscire dai rottami con la piccola sud-sudanese. Quando mi hanno caricato sulla canoa mi sono girato verso destra, c’era anche lei".

I suoi soccorritori.

"Rapidi, fantastici. Ero stordito, chiedevo cosa fosse successo. Quei giovanissimi pescatori mi hanno risposto in inglese, mi hanno spiegato che l’aereo era precipitato, che avevo una vistosa ferita al collo e non dovevo toccarmi. Mi rassicuravano che in breve avremmo raggiunto l’ospedale di Yirol".

Quello dove avrebbe dovuto lavorare per il Cuamm.

"Proprio così. Invece ci sono arrivato da paziente".

Per il tipo di fratture, poteva rimanere paralizzato.

"È stato il primo pensiero. Appena fuori dall’acqua, da medico ho cercato di fare subito un’autodiagnosi muovendo le gambe, per capire se avevo la sensibilità. È una fortuna talmente grande, un dono talmente grande che non riesco a quantificarlo".

Tra dono e fortuna c’è molta differenza.

"Preferisco fortuna. Non attribuisco a un’Entità quel che mi è successo. Perché altrimenti dovrei pensare male per chi non ce l’ha fatta, per le vittime. Dovrei chiedermi: perché io sì e loro no?".

È quello che spesso tormenta i superstiti delle stragi, da Rigopiano a Genova, quasi con un senso di colpa.

"Non ho una risposta a questa domanda. Sono felice di essere vivo ma penso spesso alle vittime. Anche perché le avevo conosciute. In attesa di prendere il volo che poi non era partito".

Era a Juba da qualche giorno. Cosa ricorda di loro?

"Mi torna in mente il vescovo, ho chiacchierato tanto con lui il giorno prima dell’incidente. Ho giocato con i bambini, uno piccolo, direi sui due anni, che è morto nella strage, e la bimba che si è salvata".

Lei, riconoscibile dalla maglietta del Cuamm.

"Quella sigla dà fiducia. Attirava la gente che veniva a salutarmi, a stringermi la mano".

Si sente in debito?

"Sento una grande responsabilità. Anche per questo voglio tornare in Africa. In una situazione tragica, sono stato testimone di una grande forza, una catena umana che mi ha permesso di tornare a casa. I pescatori ragazzini, all’inizio terrorizzati. E gli autisti del pick up".

L’hanno trasportata all’ospedale.

"Hanno guidato per 40 minuti in condizioni molto difficili. Io ero steso dietro. Tutti si sono comportati come se fossero stati addestrati a una situazione d’emergenza. Mentre sulla riva c’era tanta gente che aspettava, arrivavano i morti recuperati da altre canoe, sentivo grida disperate di chi li conosceva. Sono grato a tutti, soprattutto al Cuamm, per come è riuscito ad assistermi. Sono persone straordinarie, una famiglia".