di Alessandro Farruggia
Questa è la cronaca di un golpe annunciato. Iniziato alla grande, sviluppatosi di gran carriera e morto a sorpresa prima del tramonto di sabato, con una sostanziale resa di Prigozhin che lascia mille dubbi. Del golpe – dicono i media americani, che raccolgono quanto fatto filtrare dai servizi a stelle e strisce – sapevano da inizio giugno la Cia (che mercoledì scorso avvertì Casa Bianca, Dipartimento di Stato e Pentagono), da qualche giorno gli ucraini e secondo il Washington Post, "almeno da 24 ore prima" persino Vladimir Putin. "Le agenzie di spionaggio statunitensi – scrive il Washington Post – hanno raccolto informazioni a metà giugno che indicavano che il capo dei mercenari Wagner, stava pianificando un’azione armata contro l’establishment della difesa russa e hanno informato urgentemente la Casa Bianca e altre agenzie governative". "I funzionari dell’intelligence americana – conferma il New York Times – hanno informato mercoledì alti funzionari militari e dell’amministrazione che Prigozhin, si stava preparando a intraprendere un’azione militare".
Ma tutti hanno avuto interesse a lasciar correre gli eventi. Gli americani, in parte preoccupati che l’arsenale militare russo finisse nelle man sbagliate, in parte per non volevano correre il rischio di essere considerati gli ispiratori o i potenziali alleati del capo della Wagner. Gli ucraini perché comunque fosse andata Mosca ne sarebbe stata indebolita. E Putin stesso perché controllando l’insurrezione e comunque bloccandola dopo poche ore senza un bagno di sangue ha avuto modo di fare piazza pulita di un alleato che stava diventando molto scomodo e ora darà il via ad una serie di purghe interne per mantenere il potere. E pazienza se la sua immagine internazionale ne esce ulteriormente indebolita. Dalla sua parte si è comunque prontamente messa la Russia che ha espresso "sostegno agli sforzi della leadership della Federazione Russa per stabilizzare la situazione nel Paese in relazione agli eventi del 24 giugno", ed è sceso in campo persino l’Iran – contraddizione in termini per una teocrazia – per "sostenere lo stato di diritto in Russia". Mentre l’Occidente è rimasto alla finestra seppure sottolineando con il segretario di stato americano Antony Blinken che "il fallito golpe rivela vere e proprie crepe ai massimi livelli dello stato russo".
Di Prigozhin, acclamato dalla folla a Rostov quando ha lasciato la città alla fine della sfortunata insurrezione, si sono perse le tracce. Secondo il Cremlino dovrebbe andare in Bielorussia, ma di questo non c’è certezza. È scomparso. Nelle pieghe di una vicenda che ha moltissimi punti oscuri c’è anche – una scena da basso impero – l’esito della perquisizione fatta dalle forze di sicurezza russe al quartier generale di Prigozhin, a San Pietroburgo. Sono state trovate cinquemila banconote per un valore di circa quattro miliardi di rubli, l’equivalente di 43 milioni di euro. Con esse anche cinque chili di lingotti d’oro, sei pistole e cinque mattonelle da un chilo di “polvere bianca”. Che ragionevolmente, no, non era borotalco né farina. E c’erano quattro passaporti con la foto di Prigozhin che portano i nomi di Dmitry Geiler, Oleg Semenov e Dmitry Bobrov, e un altro con il nome di Prigozhin ma con la foto di un altro uomo calvo. Prigozhin ha confermato la notizia del ritrovamento del denaro in un messaggio audio su uno dei suoi canali Telegram, affermando che i soldi erano destinati agli stipendi, pagati in contanti. Sarà. Sta di fatto che Prigozhin pare essersi volatilizzato e seppure fosse al in Bielorussia, è di fatto esposto all’ira funesta di Putin, che contro di dissidenti ha usato spesso all’arma dell’eliminazione fisica.
Mentre i miliziani ribelli hanno completato il ritiro da tutte le regioni russe, il Cremlino respira. La tempesta è passata ma Putin si è scoperto molto più fragile di quel che credeva. Sedici mesi fa era alle porte di Kiev, sabato si è trovato a difendersi da un attacco militare a Mosca. Parafrasando una divertente commedia russa degli anni ’70: Ironiya sud’by, l’ironia del destino.