Lorenzo
Castellani
I cittadini italiani hanno dato una grande prova di solidarietà, obbedienza e
responsabilità durante l’emergenza pandemica. Oggi la situazione è sotto controllo
da mesi: oltre il 90% della popolazione è plurivaccinata; la pressione sugli ospedali
non c’è più; le restrizioni sono poche e ben tollerate dalla stragrande maggioranza
dei cittadini. In questo contesto viene da chiedersi se sul piano della strategia
politica sia stata una buona mossa per il Partito Democratico candidare al
Parlamento il virologo Andrea Crisanti, uno dei volti più noti dell’emergenza pandemica sul piano sanitario e mediatico. Gran parte della popolazione reputa la pandemia superata e il ritorno alla normalità completato, davvero apprezzeranno un tecnico prestato alla politica che ventila nuove restrizioni dopo gli ultimi difficili due anni e mezzo?
Crisanti farà il suo mestiere, come giusto che sia, anche in
campagna elettorale e parlerà di prevenzione sanitaria e politiche restrittive. La
competenza in politica conta, ma niente garantisce che un buon tecnico sia anche
un efficace politico. È valsa la pena sacrificare un buon politico locale o un parlamentare esperto per candidare al suo posto il virologo? Nessuno nega che
questa candidatura possa veicolare sicurezza verso un certo elettorato, ma la parte
più produttiva dell’Italia teme che all’inflazione e alla crisi energetica possano sommarsi nuove restrizioni alla prima impennata di contagi, nonostante il percorso
sin qui svolto dai cittadini. La candidatura di Crisanti, dunque, non pare rientrare in
una strategia elettorale volta a conquistare l’Italia più giovane e dinamica di cui una
sinistra in svantaggio avrebbe molto bisogno. Sembra piuttosto una delle tante
operazioni tecnocratiche, svolta in nome della competenza e col sacrificio della rappresentanza territoriale, che mira a rimpiazzare una politica pavida e inconcludente con la tecnica.