Giovedì 21 Novembre 2024
ALESSANDRO MALPELO
Cronaca

Covid: perché il Coronavirus in Italia uccide di più

Il confronto con la Germania è impietoso, ma influisce anche il metodo di conteggio. Poi pesano i tagli subiti dal nostro sistema sanitario

L'indice di mortalità Paese per Paese

L'indice di mortalità Paese per Paese

Roma, 5 dicembre 2020 - Medici in trincea, c’è poco da stare allegri per le feste. L’Italia, nelle statistiche della pandemia da Sars-Cov-2, si posiziona ai primi posti nel mondo per numero di vittime in rapporto alla popolazione. Abbiamo avuto 96 morti ogni 100mila abitanti, dietro al Belgio che ne ha 149 e dietro alla Spagna, che con 98 decessi per Covid-19 vive una situazione del tutto simile alla nostra. Ma atteso che le nostre statistiche non sono gonfiate, e nemmeno gli altri barano sui numeri, a cosa dobbiamo questo triste record negativo in termini di lutti?

Massimo Puoti, direttore delle Malattie infettive nell’ospedale Niguarda di Milano, di fronte all’ennesimo bollettino di guerra, taglia corto: "Abbiamo un sistema sanitario che ha lavorato facendo le nozze coi fichi secchi, eravamo al limite, c’è chi ha tagliato il tagliabile, la medicina territoriale e la prevenzione sono finite in basso nella lista delle priorità su cui investire". Come se non bastasse occorrono anni per formare le nuove leve, le carriere dei dottori in Italia sono poco attraenti e molti neolaureati sono scappati all’estero. "I morti per Coronavirus dicono che il nostro sistema ha delle grosse criticità per quanto riguarda l’efficacia delle organizzazioni sanitarie – rincara la dose il manager Giovanni Monchiero, ex presidente Fiaso, Federazione delle aziende ospedaliere – inoltre hanno un peso anche la capacità di intervento dei governi e il rispetto delle regole. Ad esempio i tedeschi sono più disciplinati".

Covid: bollettino del 6 dicembre

Dunque il virus uccide anche in Germania, ma in misura ben inferiore, per una somma di ragioni. Ma c’è pure il fattore anagrafico. La popolazione italiana che è venuta a mancare per Covid-19 "ha un’età media di 81 anni e il 90 per cento aveva diverse patologie pregresse", ha evidenziato il presidente dell’Istituto superiore di sanità, Silvio Brusaferro. "In terapia intensiva l’età dei ricoverati è sempre in un range intorno ai 70, con più uomini che donne".

Uno studio condotto a Treviso, riferisce il direttore dell’Azienda sanitaria, Francesco Benazzi, mostra che il virus fa quasi sempre da detonatore di situazioni di salute compromessa. Nessuno è immune, per intenderci, ma la maggior parte delle persone mancate per Covid-19 ha alle spalle, a seconda dei casi, una condizione di sofferenza per diabete, obesità, ipertensione, cardiopatie, asma, cancro. Parliamo di persone con cronicità che avrebbero tirato avanti per anni, poi entra il virus e cambia le carte in tavola.

Più articolata l’analisi di Massimo Andreoni, direttore scientifico Simit, la Società italiana malattie infettive: "Risulta difficile capire perché il tasso di letalità in Italia sia così elevato rispetto ad altri Paesi nel mondo. Premesso che le strategie terapeutiche utilizzate siano le stesse – afferma il noto docente dell’Università di Roma Tor Vergata – tre potrebbero essere i fattori che incidono. Primo: in Italia c’è una longevità molto avanzata. Secondo: tanti pazienti deboli ricevono cure anche in uno stato avanzato di malattia, questo permette loro di sopravvivere, ma in altri Paesi avrebbero difficoltà. Terzo fattore, infine, potrebbe dipendere dal fatto che i pazienti in Italia arrivano troppo tardi al ricovero in ambito ospedaliero".

Marco Tinelli, infettivologo dell’Auxologico di Milano, ritiene che a pesare sulle statistiche italiane siano proprio i decessi riferiti a pazienti sopra i 75 anni con tanti acciacchi e patologie concomitanti. "Inoltre la medicina del territorio è stata abbandonata - aggiunge Tinelli - mai integrata con il resto del sistema sanitario. Questa situazione rende più difficile diagnosi, monitoraggio e cura precoce a domicilio dei contagiati, spesso lasciati senza supporto".

Tirato in ballo a proposito del ruolo dei medici di famiglia, Claudio Cricelli, presidente Simg (Società italiana di medicina generale) dice che i decessi sono il risultato di una malattia dal decorso lungo, diverso da caso a caso per età e genere. "Rispetto alla Fase 1 abbiamo un numero di decessi apparentemente molto alto, ma in realtà inferiore in percentuale rispetto al numero dei casi totali. Basti pensare che dalla terza settimana di settembre abbiamo avuto picchi fino a 4mila casi giornalieri a fronte delle poche migliaia di marzo-aprile. Il tasso di letalità di Covid-19 è quindi fortemente diminuito grazie all’aumento dei positivi asintomatici al radicale miglioramento dei criteri di diagnosi e tempestività delle cure". Quindi le statistiche raccontano un passato doloroso, ma il peggio ormai l’abbiamo lasciato alle nostre spalle.