"Uagliù è situazione se fatta seria, ci hanno schifato pure gli svizzerotti". Un giovane, neppure vent’anni, alza gli occhi dallo smartphone dove ha appena letto la notizia che la Svizzera ha disposto la quarantena per chi arriva dalla Campania. Ha gli occhi persi nel vuoto, fissi sull’ingresso del presidio ospedaliero del Frullone di Napoli, come se non pensasse più a nulla. Non sorride neppure alla sua battuta, si cala il cappuccio della felpa, scosso da un brivido. Sembra che non gli importa più di nulla. "Sto qui dalle tre, ora sono le nove meno un quarto, quasi sei ore di attesa per un tampone. Ho il numero 79, assurdo".
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È il ritratto della Caporetto napoletana dove iniziano a scarseggiare i posti anche per i malati gravi. Per il momento il ‘tutto esaurito’ è nelle corsie e nelle terapie sub-intensive, quella specie di limbo dove finiscono i dannati del Covid-19 che non sono ancora finiti nel girone degli intubati delle Rianimazioni. Al Frullone, come al Cotugno (dove già c’è il sold-out) o allo Zooprofilattico l’attesa per fare un tampone non è mai inferiore alle 3 ore. Alle sei, davanti alle barriere, si accalcano in trecento, mentre le guardie giurate fanno appello al distanziamento e chiedono di evitare assembramenti. Usano il megafono, non hanno più voce in corpo. "Siamo alle corde, in meno di una settimana si è scatenato l’inferno", dice sconsolato un vigilantes.
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In corsia, non va meglio. Ma quando si tenta di ottenere un’informazione o un commento sulla situazione si viene respinti, un muro di gomma. Un medico amico ci fa il segno della bocca cucita. "No, l’abbiamo indossata la mascherina", rispondiamo alla sua mimica, fingendo di non capire. "Che mascherina d’Egitto – replica il camice bianco del pronto soccorso –, qui ci hanno messo il bavaglio. Non possiamo parlare con la stampa, voi giornalisti siete peggio del Covid". Ordine di De Luca. Nessuna intervista ai medici e ai direttori sanitari, divieto di ingresso in corsia, per adesso il lanciafiamme ha vomitato fuoco sui giornalisti. Nonostante la mordacchia alla stampa, trapela l’impressione che, dopo essere finita sulle copertine di mezzo mondo come esempio di eccellenza e incassato gli applausi finanche di Naomi Campbell, la sanità campana sia alle prese con "l’inverno del nostro scontento", con l’incubo serpeggiante anche tra la plebe napoletana, finora strafottente e sfacciata ma che ora suda freddo dalla paura.
Sono i numeri a preoccupare. Su 665 letti per le degenze ‘ordinarie’ Covid, ne sono occupati già 550. Con i ritmi di contagio di questi giorni, a fine settimana bisognerà invadere le Terapie Intensive che dispongono a Napoli di altri 55 posti liberi (altri 53 sono occupati). E poi? "Diciamola tutta – spiega il gestore di un laboratorio privato –, De Luca si è fatto piovere addosso. Si capiva da un mese che la sanità campana era sotto stress, che i contagi crescevano e bisognava fare più tamponi. Ma lui niente, è rimasto in difesa, preso dalla propaganda elettorale. Ora che gli è scoppiata la bomba in mano ha aperto ai laboratori privati (25 convenzionati, ndr) e sarà in grado di fare dieci-quindicimila tamponi al giorno. Ma forse è tardi".
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L’unità di crisi regionale, intanto, è convocata ‘no stop’. Si cercano contromisure, si chiudono bar, lounge e vinerie alle 23, nel tentativo di arginare la movida nella zona dei ‘baretti’, si risponde a muso duro ai ristoratori che chiedono più flessibilità. Si guarda con il fiato sospeso il bilancio del fine settimana. "Sicuramente supereremo gli 800 contagi – riferisce un componente dell’Unità di crisi che preferisce l’anonimato –, a questo punto il coprifuoco sarà inevitabile. Chiusura di tutto alle 20, forse anche alle 18. Per andare a cinema, teatro e palestra se ne parlerà dopo Natale".
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