"Controproducente". È così che, in sintesi, definisce l’ipotesi di prolungare lo stato di emergenza Covid uno che se ne intende di opinione pubblica e psicologia di massa come Giuseppe Roma. Per anni direttore del Censis, il sociologo oggi guida l’associazione Rete urbana delle rappresentanze (Centro di ricerca economico-territoriale).
Perché non vede di buon occhio la proroga?
"Perché uno stato emergenziale duraturo non ci aiuta a ritrovare la normalità di cui abbiamo bisogno, anche se capisco che sia un provvedimento di carattere prudenziale".
Che cosa teme?
"Che si spari con un cannone su un moscerino: se tutto diventa straordinario, sociologicamente subiamo uno stress negativo. Naturalmente, dipende da come si svilupperà la pandemia ma io preferirei che si ritornasse alla ordinarietà per gestire le difficoltà che abbiamo di fronte. Pensare di vivere ancora in emergenza indurrebbe gli italiani in condizioni di non tranquillità mentre il Paese ha bisogno di serenità per rimettersi in moto. Inutile dire ’dobbiamo fare come nel dopoguerra’ se poi si costringe la gente a convivere con la psicosi del blocco".
Prevede ulteriori freni per la ripresa?
"Certo. Il crollo del nostro Pil è dovuto al fatto che per un certo numero di mesi non si è prodotto e questo ha avuto impatto sul reddito e sulla psicologia delle famiglie".
Traduca, per favore.
"Ci sono più soldi di quelli che si spendono".
Quasi un paradosso: la crisi ha colpito molti italiani.
"Non nego le difficoltà sociali: c’è molta gente che ha perso il lavoro. Tanti alberghi hanno chiuso, tanti negozi non hanno riaperto. Ma c’è una quota di persone – dipendenti pubblici, pensionati di medio livello, in genere gli addetti nelle aziende che non hanno interrotto la produzione – che hanno continuato a lavorare guadagnando come prima ma che consumano di meno a causa di un clima sospeso che spinge a temere il cataclisma. È chiaro che paventare un nuovo lockdown non è la condizione migliore per far sì che la domanda interna diventi più vivace".
C’è il rischio che pigiando il tasto dell’allarme virus ci siano ricadute su un settore in ginocchio come il turismo?
"Il turismo internazionale è già molto ridotto: direi che lo stato d’emergenza potrebbe influire di più su quello interno. In ogni caso, suggerirei al governo di fare una maggior promozione del nostro Paese all’estero, trovando forme di rassicurazione verso i turisti stranieri, specialmente europei visto che sul mercato americano – che per noi è il più importante – ora non si può fare affidamento".
Quali effetti può avere sulla ripartenza del nuovo anno scolastico?
"Da un lato può aiutare a predisporre gli strumenti necessari per riaprire le scuole, visto che dà mano libera negli acquisti senza bisogno di gare. Dall’altro, però, sentirsi di nuovo in emergenza non rassicura le famiglie".
A conti fatti, chi sarebbe più penalizzato dall’emergenza 2.0?
"Se si tratta solo di governance del sistema, se non dà cioè luogo a restrizioni, colpisce trasversalmente tutte le categorie. Se dovesse invece portare a provvedimenti restrittivi, i più colpiti sono gli anelli deboli del sistema produttivo: i giovani, le donne e il Mezzogiorno in genere".
A proposito di governance: c’è chi ha paventato pericoli per la democrazia.
"Mi rendo conto che il governo in carica diventa un po’ più stabile rispetto alle fibrillazioni della maggioranza, ma di pericoli per la democrazia non ne vedo. Però...".
Però?
"Preferirei puntare sul senso di responsabilità e sulla partecipazione civica degli italiani piuttosto che sulla costrizione".