È convinto che "sul lungo termine, a livello psicologico e sociale" i giovani studenti siano tra le categorie più penalizzate dalle misure adottate per far fronte all’emergenza sanitaria. Ferruccio Resta, rettore del Politecnico, ha scritto a tutto il personale docente e non che l’Ateneo milanese rimarrà aperto fino a nuovo ordine sanitario. "Le nostre competenze non sono né epidemiologiche né sanitarie – spiega Resta al QN –. Noi siamo docenti e ricercatori che si occupano di architettura e di ingegneria. Il nostro compito è andare in aula e fare lezione".
Professor Resta, nella lettera lei scrive: "Il Politecnico è aperto oggi come lo è stato nei momenti più bui della nostra storia". Si riferiva alla guerra?
"Sì. Il Politecnico non ha mai chiuso neanche durante la guerra. Ma siamo rispettosi delle istituzioni. Il ministero della Salute e gli altri organi competenti stanno lavorando per prendere decisioni. Nel momento in cui chiuderanno le università, noi saremo pronti ad adottare subito il metodo di insegnamento a distanza".
L’esperienza dello scorso lockdown cosa vi ha insegnato?
"A maggio abbiamo pianificato che cosa avremmo fatto nel semestre che è partito a settembre. Abbiamo spostato gli orari delle lezioni lontano dalle 8 del mattino per ridurre la presenza degli studenti sui mezzi pubblici, allungato gli orari della didattica fino alle 20, introdotto le misure di distanziamento e adottato i dispositivi di protezione. Abbiamo anche ipotizzato una seconda ondata di contagi".
Pensa che i giovani studenti, universitari e non, in questa situazione di emergenza Covid siano tra le categorie più penalizzate dalle norme anti-contagio?
"Sul lungo termine, sicuramente. I problemi che avranno gli studenti, in primis quelli delle scuole primarie e secondarie, in termini di impatto psicologico sono uno degli elementi su cui dobbiamo avere maggiore attenzione. Il secondo aspetto riguarda la formazione, perché in futuro ci saranno altre sfide altrettanto difficili e soltanto con la competenza, la conoscenza e la formazione saremo preparati per vincerle. In università si cresce come persone, prima ancora che come professionisti, frequentando i docenti e i compagni e vivendo una vita meno protetta di quella precedente".
Insomma, l’insegnamento in presenza è ben diverso da quello a distanza?
"La differenza è che in presenza si è inseriti in un contesto sociale. La didattica a distanza è un ottimo giubbotto di salvataggio durante una tempesta, ma non riesce a sopperire all’aspetto più sociale, che è la vera essenza dell’università".
Eppure, nonostante le misure anti-contagio adottate dal Politecnico, lei segnala "150 persone in isolamento, contagiate o venute in contatto con malati Covid". Il rischio contagio esiste se si frequenta l’università?
"Durante una lezione gli studenti hanno tutti la mascherina e sono distanziati. In quei momenti non c’è possibilità di contagio. Il problema è che il virus si è diffuso nel Paese".
Ma gli studenti, per recarsi in Ateneo, spesso devono usare i mezzi pubblici e spostarsi. In quei momenti il rischio c’è.
"Il rischio zero non esiste. Il rischio in università è stato valutato e sono state adottate delle misure per ridurlo al minimo, misure che sono state rispettate".
Se nei prossimi giorni si arrivasse a un lockdown, lei crede che sia valsa comunque la pena di tenere aperto il Politecnico?
"Sì, soprattutto per le matricole e per gli studenti che stanno completando la tesi di laurea o di dottorato. Ma anche per gli altri studenti dell’Ateneo".