Venerdì 7 Febbraio 2025
DANIEL PEYRONEL
Cronaca

Cosa c’è di vero sul collasso della Corrente del Golfo

Rischia di fermarsi e far sprofondare l’Europa in un clima artico? Ecco cosa dicono gli studi, partendo da una premessa: bisogna guardare alla circolazione meridionale dell’Atlantico, il sistema di correnti marine responsabile del trasporto di calore verso l’Europa

Roma, 8 febbraio 2025 – Il rischio non è imminente e, soprattutto, non riguarda la Corrente del Golfo, bensì la circolazione meridionale dell’Atlantico (AMOC): un sistema di correnti marine responsabile del trasporto di calore verso l’Europa. La Corrente del Golfo, infatti, è “una corrente principalmente guidata dai venti nella superficie oceanica, si trova vicino alla costa orientale degli Stati Uniti. Quindi può fermarsi solo interrompendo il vento o modificando la rotazione terrestre” spiega Henk Dijkstra, professore di Oceanografia dinamica al Dipartimento di Fisica dell’Università di Utrecht (Paesi Bassi). È lui uno degli autori dello studio pubblicato sulla rivista Science Advances all’inizio del 2024, riguardo all’eventuale collasso dell’AMOC nel giro dei prossimi 100 anni.

Le correnti nell'Oceano Atlantico (foto iStock)
Le correnti nell'Oceano Atlantico (foto iStock)

Rallentamento e punti di non ritorno

Lo studio condotto dal team olandese mostra quali sarebbero le conseguenze di un arresto dell’AMOC in Europa, prima fra tutte le temperature più basse di 10-15 gradi rispetto all’era preindustriale. Lo scienziato puntualizza però che oggi, “non viviamo più nell’epoca preindustriale, ma in pieno cambiamento climatico”. E lo studio non integra l’impatto dell’aumento delle temperature globali.

È da dettagli importanti come questo che nasce la confusione. Julie Deshayes, oceanografa all’istituto francese di scienze climatiche e ambientali, l’Institut Pierre-Simon Laplace, conferma che esiste un consenso sul rallentamento dell’AMOC: il 6° Rapporto mondiale sul clima del 2021 scrive che è molto probabile (90-100%) che l'AMOC si indebolisca nel corso del XXI secolo, ma non si parla di arresto né collasso.

È anche vero però che i modelli dell’IPCC non tengono conto dei tipping-points – i punti di non ritorno - e proprio su questi la squadra di ricerca dell’università di Utrecht ha costruito la propria tesi.

In particolare, due fenomeni hanno attirato l’attenzione dei ricercatori: lo scioglimento dei ghiacci in Groenlandia e l’aumento delle precipitazioni in Nord America. Queste due variabili aumenterebbero la quantità di acqua dolce nel settore settentrionale dell’Oceano Atlantico, alterando l’apporto di acqua più calda e salata dalle regioni equatoriali.

Se la quantità di acqua dolce e poco salata dovesse superare una soglia critica, un tipping point, questo renderebbe effettivamente più fresca l’area vicino alle coste europee.

Incertezze e modelli interattivi

Secondo Julie Deshayes, si tratta di “un'analisi statistica piuttosto sofisticata. Siamo nel campo della controversia tra scienziati nel tentativo di risolvere questo paradigma. Detto questo, se ci proiettiamo nel futuro, l’AMOC diminuirà, su questo non ci sono dubbi”.

L’Europa finirà quindi per vivere una nuova era glaciale o conoscerà lo stesso clima del Canada? “Bisogna veramente smettere di dire questo. La topografia, i venti e la Corrente del Golfo garantiscono all’Europa un clima più mite. Non dipende solo dal rallentamento dell’AMOC”. In futuro, le temperature saliranno ancora. Eventualmente, è possibile che le coste europee “si riscaldino un po' meno con un rallentamento dell’AMOC, ma bisogna guardare alle stagioni”, spiega Julie Deshayes.

È possibile che il raffreddamento sia principalmente visibile in inverno, per esempio, e che al contrario, in estate, si verifichino più ondate di calore. E in questi casi, “ciò che percepiranno le persone sarà l'aumento degli eventi estremi, non se la temperatura media annuale è un po' più alta o un po' più bassa”, insiste la scienziata.

Per maggiore chiarezza bisognerà aspettare l’implementazione dei modelli climatici del futuro, che serviranno da riferimento per i prossimi rapporti dell’IPCC: “I modelli del prossimo rapporto dovrebbero basarci su dei modelli interattivi, capaci di visualizzare questi scambi”, conclude Julie Deshayes.

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