Venerdì 22 Novembre 2024
ALESSANDRO BELARDETTI
Cronaca

Coronavirus, l'infettivologo: attenti ai focolai. "Ma non c'è una seconda ondata"

Menichetti, primario all’ospedale di Pisa: mascherine e lavaggio delle mani fondamentali contro il Covid

Virus meno aggressivo. Il grafico dei casi in Italia

Virus meno aggressivo. Il grafico dei casi in Italia

Roma, 15 giugno 2020 - Tre nuovi focolai a Roma e uno a Milano. Siamo nella coda della prima ondata oppure all’inizio della seconda? "Non è una seconda ondata, siamo sempre dove eravamo a livello epidemiologico – risponde Francesco Menichetti, primario di Malattie infettive all’ospedale di Pisa –: ogni tanto è possibile un rialzo dei contagi. Il virus circola con minore intensità, i contagi sono più bassi e la malattia si documenta meno. Quello del San Raffaele è un focolaio importante, nel filone nelle Rsa. Questo testimonia che il virus circola e, quando ci sono condizioni favorevoli, si moltiplica".

In Cina temono sia iniziato il secondo boom di contagi con 57 casi, il record da aprile. "Dobbiamo vigilare sulle situazioni di Sud Corea e Cina. Hanno avuto l’epidemia prima di noi e prima di noi ne sono usciti. Anche là ci sono focolai di ripresa, non seconde ondate".

Se mai arriverà, come potrebbe essere la seconda ondata? "Non so se ci sarà, nel caso si spera sia meno aggressiva. Dobbiamo rafforzare i comportamenti: lavare le mani e usare la mascherina nei luoghi a rischio. Poi avere una risposta territoriale e ospedaliera migliore: testare e tracciare, ma anche intervenire a domicilio e risolvere il problema dell’isolamento in famiglia, che diffonde il contagio".

Il depotenziamento di Sars-Cov-2 e i nuovi comportamenti attenti degli italiani ci eviteranno la seconda ondata? "Le misure di distanziamento e le mascherine hanno fatto trasmettere meno virus: ecco perché le conseguenze sono meno impattanti ora. Sull’aggressività del virus nutro dubbi".

Ma adesso la maggior parte dei positivi è asintomatica. "Il discorso degli asintomatici è complesso. È vero, però, che il fenotipo della malattia è cambiato. I nuovi infetti che sono asintomatici e si ricoverano per altre malattie, non la polmonite. Questo va studiato".

Guardandosi indietro ritiene sia stato indispensabile il lockdown o bastavano alternative restrittive meno choc? "Sono convinto che sia servito. Si poteva discutere sulla chiusura della scuola, ma la serrata ha prodotto risultati".

L’Italia ha riaperto alla socialità da oltre un mese: i risultati sembrano buoni. Solo la Lombardia fatica ancora. "Serve tempo per dirlo. La riapertura del 3 giugno in Lombardia lascia perplessi: dovevano aspettare. Sono il cuore economico e ho grande rispetto per le vittime, ma serviva più cautela".

La categoria degli esperti scienziati quanto è colpevole nell’aver spaventato in modo esagerato le persone? "La gara del protagonismo mediatico ha travolto gli esperti, serviva più prudenza. Troppo spesso ho sentito esperti o presunti tali, direi opinionisti, competere a chi la diceva più grossa. Non dobbiamo lisciare il pelo alla paura, ma essere prudenti. Non si possono dare indicazioni da verificare, come se fossero certe. C’è stata troppa presunzione".

Il Comitato tecnico scientifico aveva detto "con la riapertura totale si rischiano 150mila in terapia intensiva". Siamo a 209 oggi. "Se ha fatto questa previsione, ha sbagliato: anche loro devono farsi un esame di coscienza. Hanno una grande responsabilità verso la comunità, devono usare misura e prudenza. Ma c’è un altro fallimento: l’Italia non è stata in grado di aggregare medici e ricercatori per realizzare studi sperimentali, ad esempio sul plasma. L’aspetto positivo, però, è che che l’epidemia sta scemando".