C’è chi, chiamato perché a contatto con un caso accertato di Coronavirus, cerca di far perdere le tracce. E c’è chi tratta: "Posso fare la quarantena in Svizzera?", scongiura una voce al telefono. "Posso farmi subito il tampone privatamente e se è negativo evitarmi la clausura?", chiedono tanti altri. La risposta - dall’altro lato del telefono o della mail - è sempre una: "No". "Bisogna essere un po’ detective, un po’ psicologi e pure assistenti sociali per fare questo lavoro". Lo confessa Marino Faccini, direttore dell’Unità complessa di malattie infettive dell’Ats Milano, 007 con una missione speciale: stendere ogni giorno la mappa dei contatti delle persone positive al Covid-19 per bloccare nuovi contagi e focolai. Al suo fianco una task force al femminile: "Il mio orgoglio".
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Come nasce il nucleo speciale? "Esisteva già l’équipe che si occupava delle malattie infettive. Ruota attorno a una figura spesso sconosciuta ma fondamentale: quella dell’assistente sanitaria. A Milano erano 50 in tempi di pace. Siamo arrivati a più di 100 in Fase 1. Verrà nuovamente rinforzata visto l’aumento di casi e l’apertura delle scuole, più problematiche da gestire". La parte più dura? "Informare del periodo di isolamento la persona che non sa di essere stata a contatto con un caso: è una telefonata che ti cambia la vita per i prossimi 14 giorni. Ma è ancora più difficile farsi dare i contatti". Omertà e poca collaborazione? "C’è una possibilità di errore legata alla memoria: se uno ha una vita sociale normale ricordarsi con chi si è stati a contatto sei giorni prima non è così banale. Ma ci sono anche resistenze...". Come scoprirlo? "Competenze comunicative: il colloquio si svolge in un clima disteso, ci si gioca tutto. Le nostre assistenti sanitarie sono dolci ma decise. Spesso la doppia telefonata aiuta. Anche a capire se sono a casa o al bar. Quando arrivano richieste da chi viene a sapere che c’è stato un caso, ricostruiamo da un’altra via. E c’è la collaborazione del medico di base e delle forze dell’ordine". Le richieste più frequenti? "Tutti i giorni chiedono cose che non si possono fare: soprattutto spostamenti. Tanti chiedono di poter andare in Svizzera e tanti svizzeri di venire qui. Non sempre è un ‘capriccio’: ci sono persone arrivate a Milano per lavoro da Roma, dalla Sardegna e dalla Sicilia. Qui ricevono la chiamata che un collega è positivo: non hanno appoggi, si trovano positivi a Milano. Cerchiamo una sistemazione per loro. I casi ancora più complessi riguardano gli stranieri che ci chiedono di tornare nei loro Paesi, ma non si può prendere l’aereo e non tutti avrebbero la possibilità di un jet privato... in più andrebbero presi accordi con i Paesi di destinazione". Coronavirus, Iss: "Progressivo peggioramento le ultime 8 settimane" Voli off limits. E in caso di contagio chi si chiama? "Anche qui c’è tutta una casistica e un lavoro con le compagnie aeree per risalire ai viaggiatori: si isolano le due file davanti e dietro il contatto positivo". C’è chi cerca di tagliare i tempi della quarantena? "Leggono sui siti e si appellano all’Oms, alle leggi in vigore in Francia o in Svizzera. Arrivano anche insulti e migliaia di mail per trattative private". Alla fine servirà uno psicologo pure a voi... "Sì, per la fatica di farlo in modo continuativo. Ma manteniamo la calma e siamo una squadra: nessuno lavora da solo e cerchiamo di evitare comportamenti di opportunismo e superficialità. Questo sistema funziona se le persone collaborano".