Giovedì 21 Novembre 2024
SIMONA BALLATORE
Cronaca

Covid, il medico che ferma il contagio. "Cerco i positivi come un detective"

Milano, ecco come il direttore dell’Unità di malattie infettive dell’Ats traccia la mappa dei focolai. "Bisogna essere un po’ psicologi per fare questo lavoro. Ho una task force femminile, è il mio orgoglio"

Marino Faccini, direttore dell’Unità complessa di malattie infettive dell’Ats Milano

Marino Faccini, direttore dell’Unità complessa di malattie infettive dell’Ats Milano

C’è chi, chiamato perché a contatto con un caso accertato di Coronavirus, cerca di far perdere le tracce. E c’è chi tratta: "Posso fare la quarantena in Svizzera?", scongiura una voce al telefono. "Posso farmi subito il tampone privatamente e se è negativo evitarmi la clausura?", chiedono tanti altri. La risposta - dall’altro lato del telefono o della mail - è sempre una: "No". "Bisogna essere un po’ detective, un po’ psicologi e pure assistenti sociali per fare questo lavoro". Lo confessa Marino Faccini, direttore dell’Unità complessa di malattie infettive dell’Ats Milano, 007 con una missione speciale: stendere ogni giorno la mappa dei contatti delle persone positive al Covid-19 per bloccare nuovi contagi e focolai. Al suo fianco una task force al femminile: "Il mio orgoglio".

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Come nasce il nucleo speciale? "Esisteva già l’équipe che si occupava delle malattie infettive. Ruota attorno a una figura spesso sconosciuta ma fondamentale: quella dell’assistente sanitaria. A Milano erano 50 in tempi di pace. Siamo arrivati a più di 100 in Fase 1. Verrà nuovamente rinforzata visto l’aumento di casi e l’apertura delle scuole, più problematiche da gestire". La parte più dura? "Informare del periodo di isolamento la persona che non sa di essere stata a contatto con un caso: è una telefonata che ti cambia la vita per i prossimi 14 giorni. Ma è ancora più difficile farsi dare i contatti". Omertà e poca collaborazione? "C’è una possibilità di errore legata alla memoria: se uno ha una vita sociale normale ricordarsi con chi si è stati a contatto sei giorni prima non è così banale. Ma ci sono anche resistenze...". Come scoprirlo? "Competenze comunicative: il colloquio si svolge in un clima disteso, ci si gioca tutto. Le nostre assistenti sanitarie sono dolci ma decise. Spesso la doppia telefonata aiuta. Anche a capire se sono a casa o al bar. Quando arrivano richieste da chi viene a sapere che c’è stato un caso, ricostruiamo da un’altra via. E c’è la collaborazione del medico di base e delle forze dell’ordine". Le richieste più frequenti? "Tutti i giorni chiedono cose che non si possono fare: soprattutto spostamenti. Tanti chiedono di poter andare in Svizzera e tanti svizzeri di venire qui. Non sempre è un ‘capriccio’: ci sono persone arrivate a Milano per lavoro da Roma, dalla Sardegna e dalla Sicilia. Qui ricevono la chiamata che un collega è positivo: non hanno appoggi, si trovano positivi a Milano. Cerchiamo una sistemazione per loro. I casi ancora più complessi riguardano gli stranieri che ci chiedono di tornare nei loro Paesi, ma non si può prendere l’aereo e non tutti avrebbero la possibilità di un jet privato... in più andrebbero presi accordi con i Paesi di destinazione". Coronavirus, Iss: "Progressivo peggioramento le ultime 8 settimane"​ Voli off limits. E in caso di contagio chi si chiama? "Anche qui c’è tutta una casistica e un lavoro con le compagnie aeree per risalire ai viaggiatori: si isolano le due file davanti e dietro il contatto positivo". C’è chi cerca di tagliare i tempi della quarantena? "Leggono sui siti e si appellano all’Oms, alle leggi in vigore in Francia o in Svizzera. Arrivano anche insulti e migliaia di mail per trattative private". Alla fine servirà uno psicologo pure a voi... "Sì, per la fatica di farlo in modo continuativo. Ma manteniamo la calma e siamo una squadra: nessuno lavora da solo e cerchiamo di evitare comportamenti di opportunismo e superficialità. Questo sistema funziona se le persone collaborano".

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