Martedì 24 Dicembre 2024
REDAZIONE CRONACA

Coronavirus e cura col plasma, Zaia: "Presto una banca del sangue in Veneto"

Il ministero della Salute è prudente e fa sapere che la terapia non è ancora consolidata, il Centro del sangue disponibile a una donazione su scala nazionale

Raccolta di plasma iperimmune per curare il Coronavirus (ImagoE)

Venezia, 6 maggio 2020 - Mentre la Toscana e il Veneto estendono ai medici di famiglia la possibilità di prescrivere test sierologici e tamponi, sul fronte della cura del Coronavirus in Italia si parla molto - e non sempre in positivo - dell'uso del plasma da convalescenti. Il ministero della Salute è prudente: fa sapere che la terapia a base di plasma è oggetto di studio in diversi paesi del mondo, Italia compresa e che questo tipo di trattamento "non è da considerarsi al momento ancora consolidato perché non sono ancora disponibili evidenze scientifiche evidenze scientifiche robuste sulla sua efficacia e sicurezza, che potranno essere fornite dai risultati dei protocolli sperimentali in corso".

Meno cauto il Centro nazionale del sangue, il cui presidente non si nasconde problematiche sulla selezione dei donatori, spesso troppo anziani, ma sottolinea che i costi non sono un problema e si dice favorevole a una donazione a livello nazionale. 

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Veneto: banca del sangue dei guariti

Ma il Veneto punta molto sulla cura che si basa sul plasma dei guariti. Tanto che si vuole istituire una banca del sangue. Il governatore Luca Zaia spiega che la regione si affida ai 3.600 malati locali guariti dal Coronavirus per fare a tappeto gli esami sierologici e creare "una grande banca del sangue". "Siamo stati i primi col sierologico sottolinea - È un progetto di alto valore scientifico che ha risvolti clinici. I dati dei primi 12 pazienti curati, che saranno inviati all'Istituto Superiore di Sanità - ha aggiunto - hanno avuto esiti incoraggianti. Faccio ora appello a quei pazienti guariti, al loro senso civico, di donare volontariamente il sangue".  Sulla differenza di opinioni tra gli scienziati, Zaia ha detto: "al di là delle grandi teorie di tanti, che non vanno neppure in ospedale, io mi fido di più di chi ha il paziente a fianco e lo sta curando". "C'erano scienziati - rileva Zaia - che asserivano che non serviva l'uso della mascherina. Ho sentito scienziati che dicevano che questa sarebbe stata un simil-influenza, che dicevano che qui in Italia il virus non sarebbe mai arrivato, altri che sarebbe stato non fondamentale dotarsi di tampone e così via".  E Zaia continua: "Adesso gli scienziati vogliono fare aprire un dibattito sulla validità del sierologico. Che lo facciano. La plasmaferesi esiste da 30 anni, noi in Veneto ne facciamo 50 mila all'anno per molti malati cronici di altre patologie. Se i miei clinici, che sono tutti grandi professionisti, dicono che i pazienti aprono gli occhi con questa terapia io ho l'obbligo morale, prima che ancora scientifico, di andare fino in fondo e capire se funziona. Cosa sarebbe avvenuto se avessimo ascoltato le indicazioni di questi scienziati sui farmaci sperimentali?. Per fortuna non li abbiamo ascoltati", conclude.

Il Centro del sangue: donazione a livello nazionale

"Noi vogliamo far sì che la donazione di plasma da convalescenti Covid prosegua su scala nazionale, per usarlo a livello industriale per l'estrazione delle immunoglobuline ma anche, se le evidenze scientifiche ne dimostreranno l'efficacia, per l'infusione ai malati", dice Giancarlo Maria Liumbruno, direttore del Centro Nazionale Sangue, intervenendo sulla possibile terapia al centro del dibattito in questi giorni annunciando che "a breve partirà un progetto nazionale con le associazioni di volontariato". "Fin dai primi giorni di marzo - ricorda Liumbruno - abbiamo fornito in modo uniforme, di concerto con la direzione generale prevenzione del ministero, una serie di indicazioni per selezionare i pazienti donatori, e per gestire il plasma in modo corretto e sicuro. Poi sono partiti una serie di studi sperimentali, alcuni dei quali quasi conclusi, altri all'inizio". Il più noto è quello degli ospedali di Pavia e di Mantova, "ma abbiamo studi in corso anche a Padova, a Pisa, in Piemonte. Sulla base di protocolli ideati dai clinici locali e autorizzati dai comitati etici locali".  Nel complesso, 11 Regioni hanno chiesto indicazioni sui criteri da seguire, "in particolare per la selezione dei candidati e per il trattamento del plasma a garanzia di chi lo riceve". Si tratta, oltre alla Lombardia, di Piemonte, Veneto, Toscana, Umbria, Marche, Lazio, Abruzzo, Campania, Calabria e Puglia. "In tutto, ma non possiamo essere precisi perché i dati sono in progress, sono trattati a oggi diverse decine di pazienti, diciamo da 70 a 100".  Ora, nell'auspicio di Liumbruno che "la donazione prenda piede a livello nazionale", si tratta di aspettare i dati sugli studi conclusi, "che andranno valutati e interpretati. Per ora posso dire che c'è cauto interesse, ma la scienza ha bisogno di dati oggettivi e verificabili. Qualora ci fossero siamo pronti a organizzare il sistema per far fronte alla questione". 

Ma quali possono essere gli ostacoli, quando (e se) arrivassero conferme sull'efficacia della terapia? "Direi che il principale è la disponibilità. Il plasma non si compra in farmacia, servono donatori, e non tutti i cittadini ovviamente lo possono essere ma solo quelli convalescenti dal Coronavirus, che hanno sviluppato gli anticorpi. Inoltre nemmeno questi sono tutti arruolabili, molti sono troppo anziani, bisogna vedere poi le condizioni cliniche, insomma la raccolta sicuramente sarebbe complessa".  Mentre i costi sono un falso problema, stando a Liumbruno: "Da un paziente si estrae una sacca di 600 ml di plasma, che serve per due, anche tre dosi. Al servizio sanitario una sacca costa 172 euro di rimborso, a cui si aggiunge il costo di altre procedure di sicurezza che abbiamo introdotto: alla fine siamo sui 250 euro". Insomma, si parla di "poco più di 80 euro a dose". E i macchinari? "Ormai la strumentazione per la plasmaferesi, cioè la separazione del plasma dagli elementi corpuscolati del sangue, è diffusa su tutto il territorio nazionale, sono pratiche abbastanza standard. Lo facevamo per l'epatite B, la rabbia... non è una pratica clinica nuova anzi, l'unica cosa che manca, ma ovviamente e' la cosa piu' importante, è capire se per i malati Covid è' sicura ed efficace. Ma noi siamo pronti". 

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