Giovedì 14 Novembre 2024
ALESSANDRO MALPELO
Cronaca

Coronavirus in ritirata, pochi pazienti gravi. "L'emergenza non è più il Covid"

Troppe patologie trascurate negli ultimi mesi, dai tumori al diabete. Triplicati i morti per infarto Remuzzi, direttore del Mario Negri: "Il lockdown ha creato problemi sanitari, è una fase da superare"

La frase scritta da una famiglia sulla spiaggia a Posillipo, Napoli (Ansa)

La frase scritta da una famiglia sulla spiaggia a Posillipo, Napoli (Ansa)

Roma, 11 maggio 2020 - L’epidemia è alla frutta. Zero arrivi per Covid-19 registrati nelle maggiori terapie intensive negli ultimi giorni. La fiammata si esaurisce, la carica virale è scemata, ora il lockdown presenta il conto. Mentre l’opinione pubblica è come ipnotizzata dal terrore delle infezioni, cresce la mortalità per infarto, triplicata da quando i medici si dedicano quasi esclusivamente al Coronavirus.

Secondo gli esperti della Società italiana di cardiologia (Sic), che hanno condotto uno studio in 54 ospedali, siamo tornati indietro di vent’anni. Analogamente le persone con diabete, tumori, invalidità fisiche e psichiche, pagano un prezzo altissimo a causa di questa operazione di distrazione di massa. Abbiamo sentito Giuseppe Remuzzi, direttore dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri di Milano, intervenuto su questi temi a ‘Piazza Pulita’ su La7. Le conseguenze indirette di uno stop prolungato possono essere più rilevanti di quelle indotte da un microscopico parente del raffreddore.

Professore, il Sars-CoV-2 batte in ritirata. Come spiega questa inversione di tendenza?

"C’è chi sostiene che il virus è indebolito, mutato, altri pensano di no. Comunque sia, i malati che si vedono adesso sono meno gravi, totalmente diversi da quelli di tre o quattro settimane fa. Calano dovunque i nuovi ricoveri".

Le statistiche cosa altro potrebbero dirci?

"Che in marzo ti poteva capitare al pronto soccorso, nei momenti peggiori, di vedere anche 80 persone tutte insieme con difficoltà respiratorie. Oggi ne arrivano si e no una decina al giorno, otto delle quali potresti mandarle a casa. Succede ovunque, non solo a Bergamo e Milano. Ne ho parlato con l’infettivologo del Cardarelli, con il presidente dell’Aifa. La situazione è cambiata a Napoli, a Roma, dappertutto".

Come è cambiata?

"Non ci sono più le condizioni di prima. Mi chiedo se questo sia espressione di un certo grado di immunità raggiunto in una parte della popolazione. Potrebbe voler dire che sappiamo curare meglio i pazienti a domicilio, che questi arrivano prima all’osservazione del medico, ma è anche vero che nel territorio non sono cambiate sostanzialmente le cose, dunque qualcosa ci sfugge".

Forse i farmaci?

"Conosciamo i farmaci che funzionano, ne mancano di specifici e di nuovi, ma abbiamo una visione chiara di certi meccanismi, come la coagulazione. Io studio una malattia rara che ha a che fare con i processi legati al complemento, se ci fosse una validazione definitiva potremmo impiegare farmaci appropriati, per quanto costosissimi, ma è ancora presto".

Questa quarantena ha frenato l’epidemia. Che conseguenze potrebbe avere adesso un passo falso, una esitazione nella ripartenza?

"Si possono determinare povertà e conflitti, condizioni associate a problemi di salute enormi. Fenomeni che in tutto il mondo provocano altre malattie e morti".

Paradossalmente l’umanità è annichilita proprio mentre il nemico sembra più docile.

"Vede, vanno bene le misure igieniche e le attenzioni, ma io ritengo che, con garbo, dobbiamo riprendere serenamente le attività produttive. Non è solo questione di economia, è una condizione legata al benessere fisico della popolazione".

Concentrandoci solo sul lockdown cosa perdiamo per strada?

"Rischiamo di sottovalutare malattie che in termini numerici possono essere persino più rilevanti di quelle indotte dal Coronavirus".

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