Roma, 20 maggio 2020 - Un bel respiro: la pandemia è finita. Nel senso che l’abbiamo fatta finire scendendo in strada, accettando il rischio di incontrare altre persone. Ormai esasperati dalla crisi economica e dal lockdown. Ce lo svela il professor Francesco Le Foche, immuno-infettivologo dell’Umberto I di Roma.
Professore, in pratica gli italiani si sono ribellati al virus?
"Sì, perché si sono uniti vari discomfort (ovvero malesseri) che hanno esasperato gli italiani. Tutti i cittadini erano esausti per la riduzione della libertà individuale e ampi settori del mondo del lavoro erano esausti per l’impatto economico e i dubbi di dover cambiare persino i loro locali anche dal punto di vista architettonico".
Un disagio psichico?
"Psichico e sociale. A un certo punto questo discomfort diffuso ha spinto la società a ribellarsi al piccolo dittatore, a quel virus 600 volte più piccolo del diametro di un capello. L’esasperazione si è diffusa come un messaggio subliminale, un tam tam collettivo: si è formata una coscienza sociale di ribellione alla pandemia".
E siamo usciti dalle case.
"La pandemia è finita con la scelta di combattere il virus a viso aperto e la decisione che è il momento giusto per convivere con il morbo".
È avvenuto così anche nella storia, con altre epidemie?
"La fine delle pandemia in genere è un momento di coscienza sociale. La scelta di confrontarsi col virus e accettare il piccolo rischio della convivenza. È l’insegnamento di Falcone: l’importante non è stabilire se uno ha paura o meno, ma saper convivere con la propria paura e non farsi condizionare".
A questo punto come ci difendiamo dal contagio?
"Con la responsabilizzazione individuale. Lo stato ha tolto il lockdown, tocca al cittadino prendersi cura della salute pubblica, cosciente del bene comune e del rispetto del prossimo".
Alcuni sindaci e governatori minacciano di chiudere di nuovo tutto vedendo gli assembramenti. Possibile?
"Improponibile. La comunicazione deve arrivare al cuore. Non serve più l’imposizione. Gli italiani si sono comportati molto bene. Ci sarà chi andrà oltre l’argine, ma la maggior parte delle persone ha agito correttamente".
E da oggi in poi?
"Dobbiamo seguire le norme di distanziamento individuale ma senza distanza sociale. La coesione sociale tende a fare unire le persone, è una forma di difesa. In pratica: andiamo al ristorante stando distanziati. Condividiamo momenti di socialità e convivialità, con precauzioni interpersonali".
La cura del lockdown ha funzionato?
"Lo Stato si è preso la libertà in cambio della salute pubblica. Una mossa eccezionale che ha dato risultati fantastici. Si è ridotta l’entropia sociale del virus fino ad arrivare alla riduzione della carica virale, con una sindrome Covid-19 light. Oggi osserviamo pazienti con sindromi come fame d’aria, dispnea lieve, febbricola ma la quantità di carica virale è talmente bassa che i tamponi non rivelano il virus".
Il virus è meno forte?
"Non ci sono dimostrazioni effettive, ma vediamo sindromi cliniche ridotte, molto meno importanti".
Ma l’epidemia scemerà di più?
"Credo di sì. E credo che le precauzioni debbano essere una nuova forma di educazione civica per poter avere vacanze normali e luoghi di lavoro sicuri".
Toglieremo la mascherina?
"Tra pochissimo tempo la quantità virale circolante sarà talmente bassa che potremo toglierla. Basterà stare attenti negli ambienti chiusi e affollati, nei supermercati, al cinema".
E il vaccino servirà ancora?
"Le malattie come il vaiolo o la polio sono state eradicate dal vaccino. Ma comunque vediamo che fine farà il virus...".
Potrebbe sparire?
"Magari. Oggi nessuno sa dove sono la Sars e la Mers. Ma se il Cov-Sars 2 si riaffaccia saremo pronti e col vaccino ce ne libereremo definitivamente".